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Alle radici della relazione

di Luciano Moia

Intervista a mons. Antonino Raspanti. A quattro mesi dall’appuntamento decennale della Chiesa italiana, in calendario nel capoluogo toscano in autunno, il punto sull’impegno di tante realtà ecclesiali per leggere e rilanciare il coinvolgente tema scelto per la grande assemblea

«Sarà un’occasione per aprirsi alla speranza, per offrire riflessioni nuove, ma anche per puntare su metodologie più efficaci. Certo, il rischio rimane elevato». Attimo di smarrimento, ma poi il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, presidente per il Sud del Comitato preparatorio del Convegno ecclesiale di Firenze, chiarisce il suo pensiero: «Se confrontiamo l’appuntamento del prossimo novembre con quelli dei decenni precedenti, il paragone potrebbe non reggere. Penso alle attese per il primo convegno, nel ’76 a Roma. Oggi un clima del genere sarebbe impensabile. Ma è giusto che esistano diversità profonde. E dobbiamo attrezzarci per affrontarle, perché l’obiettivo rimane sempre lo stesso, cioè rendere affascinante l’annuncio».

Ma in questa occasione, con tantissimi argomenti sul tappeto, quando parliamo di nuovo umanesimo quali aspetti in realtà dobbiamo privilegiare?

Stiamo facendo la scelta di non entrare nei singoli contesti in cui l’uomo è in gioco (famiglia, scuola, lavoro), ma di andare un po’ più alla radice. Non ai principi, ma alla radice, evidenziando cioè alcuni spunti che raccontino l’uomo in relazione. A questo punto le domande sono inevitabili. Chi ti offre i paletti affidabili e sicuri? È questa la strada giusta? Ecco, parlare di persona in relazione vuol dire andare alla radice, ma non in astratto. Anzi, in modo estremamente concreto.

Così si interpellano le persone ma anche le comunità…

Certo, proponendo questa riflessione non possiamo evitare di chiederci a quale condizioni l’agire delle nostre comunità ecclesiali apra o chiude all’umano.

E in che modo riescano a preparare la speranza per un futuro di uomo ‘compiuto’. Le nostre cinque vie riescono davvero a sintetizzare tutte queste preoccupazioni?

Sbagliato pensare che il nuovo umanesimo si costruisca soprattutto in famiglia?

La famiglia per noi ha un privilegio sugli altri luoghi della vita perché è lì che si forma l’essere umano. Oggi purtroppo l’influenza della famiglia nei processi educativi è limitata fortemente dal ruolo di altre agenzie il cui peso è crescente. E allora, fermo restando il nostro sguardo favorevole nei confronti della famiglia, dobbiamo riuscire ad allungare lo sguardo, ad andare al di là.

Accompagnare? Superare? Correggere?

Innanzi tutto non mitizzare. Non è che la realtà familiare di mezzo secolo fa fosse un teatro di relazioni sempre perfette e trasparenti. Anzi. Ecco perché dob- biamo lavorare con serenità per una nuova famiglia, capace di offrire all’uomo e alla donna la possibilità di diventare – ripeto – ‘persone compiute’ nella pienezza di Cristo Torniamo a Firenze. Che risposta sta arrivando dalla base?

Al momento mi sembra a macchia di leopardo. Ci sono diocesi e regioni che stanno lavorando molto, con programmi specifici e con incontri mirati. Ma tanto stanno facendo anche movimenti, istituti teologici, università. Vedo programmi già definiti che arrivano fino a novembre.

Sembra di capire però che non ovunque ci sia questo fervore?

Eh sì, altre diocesi e altre regioni sono più ferme. La risposta è spesso: ‘Faremo una giornata più avanti..’. Forse è un po’ poco. D’altra parte non si può pretendere troppo. In questo periodo gli appuntamenti sono tanti. E sulla convegnistica c’è un velo di stanchezza. Vedremo.

Tra chi si è già messo in moto, quali le proposte più interessanti?

Tante le esperienze di tipo caritativo e sociale. Ecco, proprio l’altro giorno abbiamo ricevuto un piccolo elaborato del Cnal (Centro nazionale aggregazioni laicali) con un contributo specifico di grande interesse. Ma al di là delle singole proposte, direi che va segnalata la voglia di esprimersi, di proporsi. E questo fa presagire che, in vista dei lavori di gruppo di novembre, avremo tantissime proposte.

Tra chi propone e si propone, solo persone tradizionalmente impegnate nella pastorale, o qualcuno magari ‘fuori dal giro’?

La formula purtroppo favorisce gli ad- detti ai lavori, Ma è inevitabile. Quando il numero dei delegati è abbastanza ristretto – saremo meno di duemila in tutto – noi vescovi puntiamo su persone conosciute e su cui, soprattutto dopo, siamo sicuri di poter contare. Nelle testi-monianze qualcosa di un po’ più ampio ci sarà. Ma per andare oltre dovremmo cambiare formula.

Come sta rispondendo il Sud?

In modo abbastanza positivo. Probabilmente qui al Sud siamo un po’ più reattivi perché abbiamo subito in misura inferiore i contraccolpi della secolarizzazione. Al Nord si vivono altre emergenze.

Il cammino verso il Convegno ecclesiale si inserisce tra appuntamenti come il Sinodo e il Giubileo della misericordia. Non c’è il rischio di risultarne stritolati?

Molto dipende da noi pastori e da voi addetti alla comunicazione. Se ci lasciamo appiattire sulla superficie, il Convegno ecclesiale che è l’appuntamento più fragile, finirà per esserne danneggiato. Se invece sapremo cogliere le autentiche linee di fondo dei vari appuntamenti, tutto potrà essere collegato e rafforzato.

da Avvenire, 5 luglio 2015

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