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Con il seminatore sulla traccia verso Firenze

Omelia di S.E. mons. Mario Meini

Uscire, Annunciare, Abitare, Educare, Trasfigurare. Le cinque “vie” del nuovo umanesimo nella parabola del seminatore

Uscire. “Il seminatore uscì a seminare”. È uscito il Signore dalla sua gloria ed è venuto fra noi a seminare la Parola del Vangelo. È uscito e continua ad uscire. Non si ferma a valutare il terreno e a giudicare la capacità di portare frutto. Non fa calcoli miopi, va e continua ad andare, spargendo il seme con fiducia.

È uscito e continua ad uscire anche attraverso il ministero della Chiesa e la testimonianza viva di tanti fratelli e sorelle. Continua a uscire e a seminare lungo le strade e anche tra le spine, pur di arrivare al terreno buono.

Il Signore non si stanca di uscire e non possiamo stancarci neppure noi cristiani e suoi ministri. La fatica di frate Tommaso, di cui oggi ricorre la memoria liturgica, in ogni sua ‘quaestio’ è quella di uscire a visitare tutti i saperi e le opinioni possibili. “Videtur quod…”. È il teologo mendicante che non vuol dimenticare nessun terreno possibile, che non vuol perdere nessuna opportunità di dialogo. Va e si inoltra dovunque, perché ogni luogo del sapere e del vivere può essere il ‘luogo’ del Vangelo.

Annunciare. “Il seme è la Parola di Dio”. Il Signore non esce a mani vuote, esce ‘portando la semente da gettare’ e la sparge con fiducia. Dice Tommaso: «Et in mundo conversatur sparse Verbi semine…», “Andate predicate il Vangelo ad ogni creatura”. Chiede anche a noi di non uscire a mani vuote, di qualificare la nostra uscita con l’annuncio del Vangelo. Mi ha sempre commosso la nuda semplicità con cui S. Tommaso d’Aquino davanti a tutte le opinioni possibili nelle questioni di teologia e di vita cristiana, risponde sempre candidamente: «sed contra…» e cita la Sacra Scrittura o quantomeno i documenti della Tradizione viva della Chiesa. È l’annuncio schietto, che si pone in dialogo, offrendo in modo chiaro il proprio specifico, senza infingimenti e senza opportunismi. «Nil hoc Verbo veritatis verius» afferma l’Aquinate. È il seme della Parola, del Verbo fatto carne, che a quanti lo accolgono dà la possibilità di diventare figli di Dio.

Abitare. Il seme caduto in terra vi rimane, ‘abita’ la terra, fino a marcire. Ma proprio abitando la terra germoglia, come in dialogo e in cooperazione con tutto ciò che lo avvolge e lo racchiude. Il seme abita la terra e marcisce, ma non resta sepolto. Avvolto dalla terra, la coinvolge in un’opera di fecondità. Lo stelo e la spiga saranno il frutto del seme, saranno anche il segno vivo della fecondità della terra.

Il seme del Vangelo ci abilita ad ‘abitare’ la terra, la città degli uomini, a coltivarla e renderla feconda, secondo la benedizione originaria di Dio. Dove arriva il Vangelo tutto rivive. Alla luce della Parola di Dio, S. Tommaso fa germogliare il proprio pensiero, forgia il proprio ragionamento: «Respondeo dicendum quod…». Possa ogni novità nella Chiesa essere sempre un germoglio del Vangelo di Cristo. Possa così la Chiesa abitare la città degli uomini per fecondarla con tanti germi di bene, che esprimono nella civiltà dell’amore un nuovo umanesimo caratterizzato dalla sapienza del Vangelo.

Meini

S.E. Mons. Mario Meini Vescovo di Fiesole, vicepresidente CEI

Educare. Quando scende la sera e sopraggiunge la stanchezza. Gesù si commuove per le folle: che vede come pecore senza pastore. Moltiplica il pane, ma si mette anche ad insegnare loro molte cose. È la tenerezza del Signore verso tutte le creature. Amante della vita, nulla disprezza di quanto ha creato. Sfama col pane e educa con la Parola. Educa alla verità che sola, se conosciuta, fa liberi gli uomini. Insegna per educare alla libertà. Penso alla pazienza di frate Tommaso, che, dopo aver esplorato tutti i terreni, dopo aver ascoltato e fatto brillare la Parola, dopo averla accolta e presa a dimora nel suo ragionamento, ne fa tesoro per mettersi in dialogo con tutti, rispondendo a ciascuno (Ad primum…; ad secundum…) per esaminare ogni aspetto e tenere ciò che è buono.

È la pazienza di tanti genitori che a sera si fermano a illuminare la coscienza dei figli su ogni problema. È la pazienza della Chiesa per accompagnare ciascuno personalmente, «portando gli agnellini sul braccio e conducendo piano piano le pecore madri…, avendo cura di chi è zoppo e fasciare chi è ferito».

La pazienza dell’educare appartiene all’arte della pastorale che ogni ministro deve saper coltivare con passione. Il Signore ci ha dato questa consegna. In questa pazienza è il dialogo con tutti, è il rimettere al Signore il giudizio, è l’attesa dei tempi e i momenti che il Padre si è riservato.

Trasfigurare. Celebriamo l’Eucaristia perché ci trasfiguri a immagine di Cristo. Celebriamo l’Eucaristia e invochiamo lo Spirito Santo affinché «per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo ci riunisca in un solo corpo». Questa trasfigurazione sacramentale non avviene magicamente, a prescindere dall’accoglienza della fede.

Solo lasciandoci rinnovare interiormente dal seme della Parola che germoglia in noi, nello spirito della nostra mente, possiamo offrire noi stessi, i nostri corpi, la nostra vita concreta, come sacrificio vivente, gradito a Dio. La nostra liturgia sarà sempre più trasfigurante, quanto più sarà attenta alla esperienza concreta della fede e alla semina fiduciosa della Parola. Così mens impletur gratia. Così la liturgia che celebriamo si espande poi a tutta la vita e tutto fa diventare pignus futurae gloriae. Sia questa oggi la nostra preghiera. Sia questa oggi la nostra esperienza. La nostra giornata sia scandita da una mente piena di grazia e progredisca con la caparra della gloria futura.

San Tommaso preghi per noi.

Omelia di S.E. Mons. Mario Meini
Vescovo di Fiesole, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana
28 gennaio 2015,  Consiglio Episcopale Permanente CEI

In apertura: Pieter Bruegel il Vecchio, Paesaggio con la parabola del seminatore (1557)

 

 

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