rassegna stampa

«La Chiesa deve farsi compagna di strada dell’umanità ferita» 

di Mimmo Muolo

La Chiesa esperta in umanità è oggi chiamata a «guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, perdona tutto, è padre e ci aspetta sempre». E la sua opera è tanto più importante, quanto più è grande «la perdita», da parte dell’uomo contemporaneo, «del senso profondo della felicità». Il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, intervenuto il 27 ottobre ad Ariccia (Roma) al convegno annuale dell’Unione apostolica del clero-federazione italiana, ha fotografato così il momento attuale della «Chiesa in uscita» tanto cara a papa Francesco.

Il vescovo ha sottolineato in maniera particolare il compito della comunità ecclesiale di «farsi compagna di strada di una umanità ferita», ricordando che di ferite «ce ne sono davvero tante», specie in una società «che vive un’epoca di grandi schizofrenie». «Insieme allo smarrimento dell’orizzonte della felicità – ha notato infatti Galantino – la dimenticanza della propria appartenenza alla famiglia umana è la ferita di cui l’uomo possa oggi soffrire». Il tutto provocato da «un vuoto interiore», di cui a volte anche i sacerdoti fanno esperienza, come è evidente dall’«incremento delle sindromi da burnout nella vita sacerdotale». Tuttavia, per il segretario Cei, ogni ferita «è sempre traccia della nostra appartenenza alla vita». «Siamo feriti perché vivi». E di queste tematiche si parlerà all’ormai prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (dal 9 al 13 novembre), laddove verranno messi in evidenza «percorsi capaci di convertire forme di umanesimo negato in esperienze di umanesimo riuscito, partendo dallo sguardo fissato su Cristo uomo nuovo».

A tal proposito Galantino ha ricordato che l’icona da tenere presente non è tanto «l’uomo vitruviano » di Leonardo Da Vinci, «la cui armonia di proporzioni è infallibilmente inscritta nelle figure più perfette della geometria»; quanto piuttosto «l’uomo della Sindone «che non ha forme perfette, eppure riflette la pienezza dell’amore». E proprio da questa pienezza, ha concluso il segretario generale della Cei, «si potrà attingere la proposta di un nuovo umanesimo, verso il quale ci sentiamo chiamati a muoverci sollecitamente».

da Avvenire, 28 ottobre 2015

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