rassegna stampa

Bagnasco: insieme per un nuovo inizio

di Umberto Folena

Nella relazione finale, il presidente della Cei ha indicato nella sinodalità la via per una continua umanizzazione dei rapporti e lo stile da adottare «nelle questioni che animano le comunità». Più attenzione ai giovani disorientati dalla cultura dominante. Nella sfera pubblica il cattolico deve saper «testimoniare coerenza e trasparenza»

E adesso guardiamoci. Guardiamoci bene in faccia per poterci ascoltare, portando le nostre ragioni, accogliendo le ragioni altrui, e insieme prendere decisioni e andare avanti. Guardiamo in faccia la nostra gente, specialmente quella meno fortunata e felice. Guardiamoci in faccia così come Gesù ci guarda… Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, nella tarda mattinata di ieri è in piedi davanti ai delegati. È l’ultimo atto del Convegno ecclesiale cominciato lo scorso lunedì pomeriggio con la prolusione dell’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, e la straordinaria giornata di martedì con la visita di Francesco e il suo discorso ai delegati in Santa Maria del Fiore, sotto il Volto dell’Ecce homo; e poi i contributi del sociologo Magatti e del teologo Lorizio, e il confronto in 203 piccoli gruppi in cui ognuno ha potuto davvero, sul serio, ascoltare ed essere ascoltato; in cui ciascuno è stato ‘un volto’. È in piedi e sa perfettamente quali sono le attese dei 2200 delegati con la valigia in mano e un pensiero in capo: che cosa racconterò alla gente della mia diocesi, quali mete e avventure (umane, spirituali, pastorali, culturali…) proporrò loro, come infiammerò i loro animi? Bagnasco sa tutto questo ma sa anche di non volere né potere fornire ricette, schemi, direttive. No, tradirebbe proprio il primo e più prezioso contenuto del Convegno ecclesiale, che è un modo e uno stile, quello sinodale. Parola che è tornata più e più volte, parola affascinante, parola da riempire di significato. E allora, per prima cosa, consegna la condizione affinché possa darsi un stile sinodale: «La misericordia è la via attraverso la quale l’amore del Signore si rivela e raggiunge il mondo ferito, avvolgendolo con tenerezza che consola».

Questo è il contenuto più prezioso, lo scrigno che ogni delegato da oggi dovrà spalancare al ritorno nella propria diocesi: «L’assunzione di uno stile sinodale, perché giunga ad avviare processi, richiede precisi atteggiamenti, che dicono anzitutto il nostro modo di porci di fronte al volto dell’altro, e indicano nella prospettiva della relazione e dell’incontro la strada di una continua umanizzazione». Lo stile sinodale ha per primo contenuto la sua forma, il metodo «all’insegna della concretezza, del confrontarsi insieme sulle questioni che animano le nostre comunità». Uno stile sinodale, spiega Bagnasco, «vive di cura per l’ascolto, di pazienza per l’attesa, di apertura per l’accoglienza di posizioni diverse, di disponibilità a lavorare insieme». Uno stile sinodale deve darsi infine degli obiettivi, ma questi sono chiari, li ha consegnati Francesco, è sono tutti racchiusi nella lettera e nello stile dell’Evangelii gaudium.

Nella conferenza stampa della tardissima mattinata, il presidente della Cei indica quattro priorità. Sono l’evangelizzazione, la famiglia, l’educazione e i poveri. Se i delegati che sciamano verso la stazione potessero sentirlo, si sentirebbero ancor più sollevati. Nessuno sembra preoccupato, perché schiacciato da un compito gravoso o una meta difficilmente raggiungibile. Come alcuni si confidano nella piazza d’armi della Fortezza da Basso, questo è un ‘nuovo inizio’ che non parte da zero. Lo stile sinodale, magari imperfetto, è già prassi in molte diocesi e ha importanti precedenti. Ora riparte con una nuova consapevolezza. È quella di una Chiesa chiamata a costruire i legami dell’umanesimo della concretezza (Magatti) in una società che celebra l’individualismo, e le relazioni preferisce liquefarle anziché costruirle; in una società dalle alleanze infrante da rigenerare (Lorizio): l’alleanza con il creato, tra uomo e donna, tra le generazioni, tra popoli, culture e religioni, tra i singoli e le istituzioni.

Bagnasco ripercorre queste tappe fondamentali del Convegno. Ed è sempre un Volto che campeggia mentre i volti suo e dei delegati si confrontano. È il Volto debole di quell’Ecce homo evocato da Francesco e dal cardinale Betori, arcivescovo di Firenze: «Dio – spiega Bagnasco – rivela la sua potenza nella debolezza: ecco il cardine del Vangelo che, se nuovamente accolto, disegna un preciso progetto di vita che rovescia qualsiasi canone antropologico in autentico o oppressivo, e porta anche a un utilizzo del denaro, dei mezzi e delle stesse strutture all’insegna dell’essenzialità, della disponibilità e della gratuità». Lo stile sinodale non può prescindere dalla sobrietà vera, vissuta, non solo proclamata. È uno stile esigente: come nei 203 gruppi di lavoro, nessuno può nascondersi e negare il proprio contributo, nessuno può non ascoltare, nessuno può ‘non esserci’. Nessun gregario, ma neanche tutti capitani. Non uno solo al comando che decreta, ma uno attorno al quale tutti insieme ci si convince di operare delle scelte. Camminare uniti in un momento di forte, acceso, esasperato individualismo – in politica, in economia, perfino talvolta nella Chiesa… – è un ‘modo sinodale’ che lancia un messaggio importante, un cambio di passo che potremmo sintetizzare così: dal vincere al convincere.

Bagnasco non usa questo termine, ma in fondo ciò che adesso, subito, tocca alla comunità ecclesiale è suscitare in se stessa, in ogni fedele, il ‘desiderio’. Un desiderio frutto di quella ‘inquietudine’ evocata da Francesco, che è rifiuto del quieto vivere e spinge «per primi a muoverci verso l’altro», a essere «radicati nel territorio conoscendone le esigenze, aderendo a iniziative a favore del bene comune». Sapendo quel che ogni delegato sa bene: «Non partiamo da zero».

da Avvenire, 14 novembre 2015

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