creazione dell'umano

Beati i poveri in spirito

di Adriano Fabris

Povero in spirito è chi non mette il proprio io al centro del mondo. La sua è una povertà sana: è lo sfondo entro cui ogni ricchezza spirituale va compresa e pensata nel giusto limite.

Oggi stiamo vivendo un momento di grande difficoltà. Si parla di crisi. Ma non si tratta solo di una crisi economica. È ancora peggio: non sappiamo più chi siamo. E, dunque, è anche un problema sapere cosa vogliamo e cosa possiamo essere. La via d’uscita dalla crisi è sempre più lontana. Oggi più che mai abbiamo bisogno di indicazioni riguardo a noi stessi. Dobbiamo capire come realizzarci in maniera giusta. L’esperienza cristiana ci ha dato esempi importanti. San Francesco e sant’Antonio sono modelli che continuano a parlarci con la forza che viene da come essi hanno vissuto. Ma è anzitutto in Gesù e nelle sue parole che possiamo trovare, più che una teoria, la strada che consente all’essere umano di capire chi è, e come dev’essere.

Il Discorso della Montagna è uno dei luoghi del Vangelo in cui tutto ciò viene detto. Si parla di chi è beato. Beato è chi si realizza pienamente come essere umano. E Gesù proclama appunto questo. Lo annuncia in forma paradossale. Perché la mentalità comune considera beato proprio chi fa il contrario di ciò che lui dice. A cominciare dal suo primo insegnamento: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli». Che cosa vuol dire? Gli esegeti spiegano che nell’Antico Testamento l’espressione «poveri in spirito» indica i veri umili, quelli che confidano in Dio. Pensiamo a coloro che, combattendo le difficoltà di tutti i giorni, hanno preso coscienza dei propri limiti. Questi hanno scoperto la loro povertà di esseri umani. Sanno che le cose sono legate solo in parte alla propria volontà. Sono i genitori al capezzale del figlio malato, il ragazzo che affronta un esame difficile, le persone che vedono scivolar via la propria vita e iniziano a domandarsi che cosa ne hanno fatto.

I poveri in spirito sono quelli che capiscono che il loro io non è il centro del mondo, e che il mondo non dipende da loro. È una povertà sana quella di cui fanno esperienza. È lo sfondo all’interno del quale ogni ricchezza spirituale va ricondotta, compresa e pensata nel giusto limite. Perché solo così l’umanità di ciascuno può svilupparsi e fiorire. Lo può fare aprendosi agli altri. Lo può fare aprendosi a Dio. E trovando in questa relazione la prospettiva, la forza, per vivere nel modo giusto quanto le può capitare. Così, coloro che fanno quest’esperienza di povertà – i genitori, i ragazzi, le persone di cui parlavo – conoscono già, un poco, il regno dei cieli. Viene loro promesso, certo. Ma ne fanno anche una qualche esperienza. Proprio nel modo giusto in cui affrontano i problemi. E dunque il regno dei cieli è anticipato, almeno in parte, sulla terra. Grazie a loro.

da Messaggero di Sant’Antonio, febbraio 2014

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