letture sull'umano

L’umano tra natura e cultura

a cura di Andrea Aguti e Luigi Alici

Questo Quaderno di Dialoghi raccoglie gli interventi contenuti nei Dossier dei primi due numeri del 2015 della rivista, dedicati rispettivamente al tema del naturalismo e a quello dell’umano tra natura e cultura. Considerata l’affinità dei temi trattati dai Dossier e in certo modo la loro complementarietà – non casuale ma frutto di una programmazione unitaria –, si è pensato di dare vita ad un volume unico, con l’intento di offrire un contributo alla riflessione su alcune delle questioni più significative che oggi vengono discusse a livello culturale, in particolare a livello filosofico e teologico, e soprattutto uno strumento utile per orientarsi all’interno di questo dibattito.

L’iniziativa ci è parsa opportuna anche in vista del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale della Chiesa Cattolica che, sotto il titolo “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, si terrà a Firenze nel novembre 2015. La cosiddetta “questione antropologica” è oramai da molti anni al centro delle riflessioni della Chiesa Cattolica italiana. Le grandi trasformazioni che segnano la nostra epoca, in particolare il contatto sempre più intenso tra culture e religioni diverse, indotto dal processo di globalizzazione, e l’impatto sempre più forte che il progresso tecnologico produce sulle nostre vite, stanno mettendo in discussione modelli di interpretazione dell’essere umano consolidatisi nella cultura occidentale.

L’auspicata apertura alle differenze culturali e alle novità del futuro va di pari passo con la preoccupazione che una certa idea dell’uomo e della persona umana, considerata fino a oggi valida e intramontabile, venga dichiarata obsoleta e quindi accantonata. La preoccupazione è tanto più giustificata di fronte al fatto che sono molte, e di varia provenienza, le tendenze attuali di pensiero che affermano esplicitamente o almeno suggeriscono un superamento dell’essere umano, una “morte dell’uomo”, o che declinano il futuro dell’umanità nel senso del “post-umano”, un termine che indica la futura ibridazione dell’umano con l’artificiale, lasciando intravedere un profondo cambiamento di paradigma in ordine al rapporto tra natura e cultura. Al tempo stesso non è difficile vedere come spesso, nel discorso pubblico, dietro a una retorica che esalta le differenze a tutti i livelli, si celi, in realtà, una concezione omologante che passa sopra alle differenze autentiche (tra natura e persona, tra maschio e femmina…) in nome di semplificazioni ideologiche astrattamente egualitarie o radicalmente riducibili a opzioni culturali.

Il Convegno ecclesiale orienta opportunamente il complesso di problemi sotteso alla “questione antropologica” verso un orizzonte comprensivo e sostanziale qual è quello dell’umanesimo. Come si afferma nella Traccia preparatoria al Convegno, “umanesimo” è senz’altro un concetto da svolgere al plurale, perché esistono molteplici umanesimi e molteplici forme in cui esso può esprimersi, ma è anche un concetto che, a prescindere dalle sue diverse articolazioni e applicazioni, esprime un quadro ben definito di proprietà irrinunciabili dell’umano e in generale una chiara opzione a favore della persona umana. A una visione umanistica, infatti, è in ogni caso connessa l’idea di una centralità della persona stessa nel contesto della varietà delle forme viventi, relativa al possesso di proprietà specifiche che non si riscontrano altrove (l’auto-coscienza, la libertà, la capacità di trasformare in modo creativo la realtà intorno a sé e di rispondere delle proprie azioni, la relazionalità come esperienza di reciprocità finalizzata all’edificazione del bene comune…); vanno ricercate in questa direzione le radici della dignità personale, cioè del rispetto dovuto all’essere umano in quanto tale, fondato sul riconoscimento dei valori spirituali che danno una risposta non effimera alle sue domande ultime.

È plausibile parlare di “nuovo umanesimo” per riferirsi ad una nuova stagione dell’umanesimo di cui si avverte la necessità proprio di fronte alle innumerevoli tendenze antiumanistiche che caratterizzano la cultura postmoderna e ai molti fenomeni economici, sociali, politici che contraddicono la prassi dell’umanesimo, anche se è difficile pensare a un “nuovo umanesimo” nel senso di radicalmente diverso da quello che già conosciamo. Già il fatto che il “nuovo umanesimo” sia radicato in Gesù Cristo esclude questa possibilità e, del resto, l’umanesimo occidentale, anche nelle sue forme secolarizzate o addirittura atee o “esclusive”, continua a dare largamente l’impressione di essere erede di una visione cristiana del mondo.

I contributi presenti in questo Quaderno ruotano esattamente attorno alla difficoltà di declinare la teoria e la pratica dell’umanesimo nel contesto culturale odierno e lo fanno assumendo come filo conduttore il binomio concettuale natura/cultura. Esso consente, in effetti, di considerare un vastissimo complesso di problemi che oggi sono oggetto di discussione. Da una parte sta l’equivocità del termine “natura”, che secondo alcuni rimanderebbe a una serie di costanti fisiche e biologiche che sono in grado determinare gli eventi e di orientare in modo normativo le azioni umane, e che invece secondo altri indicherebbe soltanto il complesso delle realtà e degli eventi che l’uomo non produce. In questo senso “naturale” si distingue ancora da “artificiale”, anche se nel nostro tempo l’impressionante capacità manipolativa da parte della tecnica di ciò che è “naturale” rende quest’ultimo sempre più difficilmente riconoscibile come tale. Non a caso, come abbiamo detto, una delle tesi sostenute dai teorici del post-umano è proprio la progressiva indistinzione nell’essere umano tra “naturale” e “artificiale” in un futuro prossimo. In netta controtendenza con questo orientamento, e anzi come reazione ad esso, sta invece il diffuso e forte desiderio di un ritorno alla “natura”, che costituisce una costante di tutte le civiltà che hanno raggiunto un certo grado di evoluzione culturale, e che oggi assume le forme più diverse, da quelle più radicali espresse dal pensiero ecologico e quelle più blande che si esprimono nell’industria del turismo che promette la visita di luoghi “incontaminati”.

Dall’altra parte anche il concetto di “cultura” non è meno difficile da definire rispetto a quello di “natura”, come ha messo in luce la ricerca divenuta classica di C. Kluckohn e A. L. Kroeber. Esso, soprattutto quando è unito a quello di civiltà, continua a possedere un significato valoriale (in fondo essere un “uomo di cultura” è ancora meglio che non esserlo, e appartenere ad una civiltà è ancora meglio che essere dei barbari), ma è indubbio che nell’ambito dell’antropologia filosofica e di quella culturale questo concetto viene spesso inteso con un significato funzionalistico e relativistico. La cultura per molti è il surrogato di una natura umana carente che possiede un valore esclusivamente nella misura in cui permette di colmare le lacune nella capacità adattiva dell’uomo all’ambiente. Per altri “cultura” rimanda semplicemente al complesso degli usi e dei costumi che contrassegna le società umane, la cui varietà è infinita e refrattaria ad ogni criterio di giudizio che si volesse applicare ad essa dall’esterno. Ogni cultura viene concepita come una sorta di “gioco linguistico”, che risulta significativo soltanto per quelli che vi partecipano e che comunque si sottrae a presunte regole metalinguistiche. Sotto questo punto di vista, la diversità delle culture (e delle religioni) diviene lo strumento con cui giustificare un relativismo culturale (e religioso) che nel momento stesso in cui riconosce un identico valore a tutte le culture (e a tutte le religioni) nega anche il loro valore specifico. Ancora una volta dietro all’esaltazione della differenza culturale sembra nascondersi un potente impulso al livellamento egualitario che rischia di perdere qualsiasi criterio di discernimento.

Fonte: www.azionecattolica.it

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