#FIRENZE2015lab, rassegna stampa

A Perugia un laboratorio di umanesimo

Una sintesi complessiva dei lavori

di Adriano Fabris

Si è svolto dal 7 al 9 maggio il primo dei tre laboratori che la Conferenza episcopale italiana ha organizzato in preparazione del convegno ecclesiale nazionale di Firenze del prossimo novembre. È stato un evento alquanto ricco per quanto riguarda gli spunti complessivamente emersi e molto animato da un pubblico attento e partecipe. Tenendo conto di questo, può essere opportuno fare un bilancio di ciò che è avvenuto. In particolare, possiamo domandarci, anzitutto, che cosa ci lascia in eredità il laboratorio di Perugia. E poi dobbiamo chiederci in che modo esso s’inserisce propriamente all’interno del cammino verso Firenze 2015.

Le due strade 

La prima cosa da dire è che si è trattato, appunto, di un laboratorio. Non è stato, cioè, un convegno come tanti, ma si è presentato come un luogo in cui realizzare un vero confronto fra approcci, esperienze, modi diversi di vedere il mondo. Ciò è stato reso possibile grazie al contributo dei vari esperti e docenti universitari che si sono succeduti sul palco. Ma soprattutto si è verificato in virtù della partecipazione di molti rappresentanti delle religioni mondiali, che hanno dialogato pubblicamente fra di loro.

Qual è stato lo scopo comune di questo laboratorio? Qual è stato il punto di convergenza in cui i diversi approcci, scientifici ed esperienziali, si sono, alla fine, incontrati? Il risultato lo possiamo esprimere con una formula: oggi non è più possibile pensare l’essere umano come un individuo chiuso, isolato, che solo successivamente può aprirsi agli altri e al mondo, ma bisogna considerarlo anzitutto e soprattutto nel suo costitutivo carattere relazionale. Più ancora, questo suo carattere relazionale trova la sua espressione più importante e significativa nella condizione di una comune fraternità.

In altre parole, le relazioni umane possono essere considerate come relazioni valide, buone, proficue, e possono far sì che l’essere umano si realizzi e fiorisca in ciò che gli è proprio, solo se sono attraversate da uno spirito di fraternità. A partire da qui è davvero possibile pensare e praticare quel “nuovo umanesimo” a cui il convegno di Firenze fa riferimento già nel suo titolo e che i cristiani vedono realizzato nel rapporto privilegiato con Gesù Cristo.

A questo risultato il laboratorio perugino è giunto seguendo principalmente due strade. Da un lato, sono state interrogate alcune discipline che studiano l’essere umano nelle sue varie modalità di espressione: la filosofia, la sociologia, la teologia, l’economia. Dall’altro, è stato verificato in che modo – e attraverso quali specifiche esperienze, soprattutto di carattere religioso – l’esperienza della fraternità umana e il dialogo fra le religioni possono essere praticati concretamente, al di là di ciò che fin troppo spesso, invece, accade nel nostro tempo.

Queste dunque sono state le due strade seguite nel corso del laboratorio di Perugia. Entrambe hanno evidenziato una forte convergenza. In entrambi i casi, infatti, è emersa la necessità di pensare l’essere umano come un essere costantemente aperto all’altro, come un essere già sempre – potremmo dire – in uscita da sé. Con ciò vengono messi in questione i fondamenti antropologici su cui si basano tante dottrine individualistiche e utilitaristiche diffuse nel mondo contemporaneo. Non solo: viene contestata radicalmente quella chiusura intransigente che sta al fondo di tante interpretazioni fondamentalistiche delle religioni.

I dialoghi

I dialoghi che si sono succeduti nell’ambito delle tavole rotonde dedicate all’impostazione delle scienze umane sono stati molto istruttivi in tal senso. Impagliazzo e Morozzo della Rocca hanno mostrato come nel contesto europeo sia in Occidente che nell’Europa orientale, solo un cambio di passo reso possibile da nuove esperienze di solidarietà e fraternità vere può fornire una via d’uscita ai conflitti tuttora in corso. Fistetti, Letterio e Longato hanno analizzato alcuni momenti del dibattito filosofico del Novecento, anche di matrice laica, e hanno messo in luce la prepotente ripresa del tema della fraternità: un ritorno vero e proprio, dopo l’eclissi che questa categoria aveva subito nell’ultimo secolo. Bingemer, De Andrade e Repole hanno declinato questo tema in una prospettiva propriamente teologica, mentre Gabellieri, Caillé e Bruni hanno mostrato come sia non solo possibile, ma anzi necessaria, un’economia alternativa, basata sul dono e non già sul guadagno.

In parallelo, nelle due mattinate del laboratorio, si sono confrontati gli esponenti delle principali religioni mondiali. Nella prima, Coda, Mokrani e Salvarani – vista l’assenza di rav Laras, per motivi di salute – hanno mostrato come la lettura fordamentalistica dei tre monoteismi sia contraria non solo al significato stesso della parola “religione”, intesa come un legame buono tra uomo e Dio, e tra uomo e uomo, ma soprattutto contrasti con l’idea relazionale del Dio biblico a cui ebraismo, cristianesimo e islam fanno riferimento. Nella seconda mattinata, invece, l’esperienza di fraternità è stata declinata su di un piano sia etico che religioso nell’ambito dell’induismo e di alcuni filoni del buddismo, grazie agli interventi di Raveri, Hamsananda Giri e Santi. Hanno arricchito questi incontri le testimonianze prodotte da Bontempi e Pisoni, relative all’esperienza di un dialogo religioso concreto.

In conclusione, il vescovo di Perugia, card. Gualtiero Bassetti, ha sottolineato come queste esperienze siano significative non solo per i contenuti che vi vengono elaborati, ma soprattutto per il modo, lo stile che le caratterizza. E anche chi scrive, nella flessione conclusiva, ha messo l’accento sulla funzione importante, sul carattere di tappa significativa, che il laboratorio di Perugia ha rivestito nel percorso della Chiesa italiana verso Firenze 2015.

I due risultati

Qual è infatti il contributo che l’evento di Perugia ha offerto in questo cammino? Due, a mio parere, sono i guadagni raggiunti. Anzitutto, come accennavo, è stata messa in luce pubblicamente la prospettiva secondo cui l’umanità dell’essere umano verrà considerata nel prossimo convegno ecclesiale, cioè nella prospettiva della fraternità. Si tratta di far valere il principio della relazione all’altro, che è mio fratello, rispetto al primato della relazione a sé, che – tanto più nel nostro tempo – si rivela sterile e problematica.

Tutto ciò, in questo laboratorio, si è realizzato a sua volta nella forma di un’apertura a un sempre più ampio confronto. Non solo perché vi è stato, alla fine di ogni tavola rotonda, un dibattito vivace, ma perché è stata sperimentata anche una modalità interattiva di partecipazione ai lavori attraverso l’uso delle nuove tecnologie. Alcuni gruppi di persone, infatti, hanno utilizzato i social network sia per assistere ai lavori, sia per confrontarsi, via twitter, con i relatori.

Firenze 2015 parte, dunque, sotto il segno della partecipazione. Mira a coinvolgere sempre di più, anche grazie alle nuove tecnologie. Vuole considerare l’altro come sempre inserito in una rete di rapporti. È il modo in cui, dalla relazione, attraverso la fraternità, si può giungere, pur in maniere sempre rispettose delle varie differenze, a una vera comunanza di pace.

da Settimana. Attualità pastorale, n. 19, 17 maggio 2015, p. 6.

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