rassegna stampa

Abitare, la relazione finale

di Marco Iasevoli

La dottrina sociale riferimento e «fonte» dell’agire pubblico

Si abitano relazioni prima che luoghi. E «stare in mezzo al popolo» non può limitarsi ad una presenza fisica, ma ha bisogno di uno stile che passa per cinque verbi: ascoltare, lasciare spazio, accogliere, accompagnare e fare alleanza. La via dell’abitare è stata forse la più eterogenea per temi sollevati, e anche quella che più ha lambito gli altri tavoli: abitare è uscire, abitare è la premessa dell’educare e dell’annunciare. «Non si parte da zero – esordisce Adriano Fabris, ordinario di Filosofia morale a Pisa –, ci sono già risultati concreti e incisivi che però non sempre sono conosciuti a sufficienza. È la Dottrina sociale della Chiesa che dovrebbe essere ancor meglio approfondita quale fonte ispiratrice e quadro di riferimento dell’agire pubblico». La prima proposta concreta è quella di immaginare, spiega Fabris, «sempre di più luoghi in cui, in un’epoca di grandi solitudini, vi sia la possibilità di parlare e di essere ascoltati davvero». Tante le fragilità che hanno bisogno di essere accompagnate: poveri, bambini, adulti, immigrati, assenza di lavoro, disagi psicologici ed esistenziali, la malattia, la morte. E non basta il vecchio assistenzialismo. Emerge con prepotenza la necessità di abitare, innanzitutto, la famiglia. E le relazioni intergenerazionali. Un giovane, cita Fabris, ha detto letteralmente: «Noi figli abbiamo bisogno di far pace con un mondo adulto che non vuole lasciarci le chiavi, che ci nega la fiducia e allo stesso tempo non esita a scandalizzarci ogni giorno». È una sfida, prosegue Fabris, che «dev’essere accolta concretamente ». Dalla famiglia ai prossimi, ai più vicini nel senso fisico del termine. Nei tavoli, spiega Fabris, sono emersi i tratti di una sorta di «pastorale del condominio». Un discorso a cerchi concentrici, quello di Fabris. Che dal piccolo va verso il grande. Dal quartiere alla parrocchia dove «bisogna superare incrostazioni e ingessature». Dalla parrocchia alla cura del creato come casa comune, nel solco della Laudato si’.

Ovviamente è stata questa la via in cui più nitidamente è emersa la necessità di un nuovo modo di pensare la politica e di rifiutare la logica della “delega in bianco”. «Bisogna accompagnare i decisori, non lasciarli mai soli», è il sentiero tracciato da questo Convegno. Essendo questo l’ambito che più si colloca al confine con le culture e lo «spirito del tempo», conclude Fabris, è stata richiamato chiaramente il dovere della «trasparenza nei comportamenti, e questo chiede anche un uso dei beni e di ciò che la Chiesa amministra secondo la radicalità evangelica. Ecco la vera tavola di verifica dei frutti di questo Convegno».

da Avvenire, 14 novembre 2015

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