rassegna stampa

Al primo Convegno “social” i giovani protagonisti

di Andrea Fagioli

Parla dom Bernardo Gianni, priore di San Miniato al Monte e membro della giunta del Comitato preparatorio di Firenze 2015: «La premura dei vescovi è coinvolgere la base, far sì che il tema del Convegno venga recepito e ridiscusso nelle singole realtà»

Entrando in San Miniato al Monte, la soglia marmorea avverte che «questa è la Porta del Cielo» (Haec est Porta Coeli). Girandosi indietro verso Firenze si ha la sensazione che sia vero: materialmente, non solo spiritualmente.

Rispetto alla città è come esserci sopra. Si capisce, anche solo attraverso i monumenti principali, quanto sia giusta la definizione di «culla dell’umanesimo» e quanto la fede cristiana abbia inciso in quel movimento culturale che fece della centralità dell’uomo il punto di partenza del mondo moderno. Sarà anche per questo che il priore di San Miniato, padre Bernardo Gianni, monaco olivetano, è uno dei membri più accreditati della giunta del Comitato preparatorio del prossimo Convegno ecclesiale nazionale «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo».

Padre Bernardo, a che punto è la preparazione di Firenze 2015?

A livello di organizzazione centrale, di elaborazione delle idee e delle modalità di incontro-confronto sui contenuti, che sono sintetizzati nella famose ‘cinque vie’, il processo è concluso. È stata definita anche l’organizzazione metodologica per riuscire a far dialogare tra di loro i 2.500 delegati e fare in modo che attraverso una strutturazione concentrica dei vari tavoli di lavoro si possa arrivare alla condivisione delle sintesi.

130115-034Grande spazio quindi ai lavori di gruppo, addirittura a piccoli tavoli?

Dopo la parola del Papa e le relazioni iniziali sarà tutto un lavoro di gruppo per ciascuna delle aree tematiche. I delegati lavoreranno all’inizio in piccoli tavoli dove ognuno potrà prendere la parola. In ogni tavolo ci sarà un animatoremoderatore che riporterà i contenuti di ogni singolo tavolo a un livello di sintesi che possa confluire in modo utile e non frammentario nel dibattimento plenario.

La preparazione più generale delle diocesi e dei fedeli, invece, a che punto è?

Sull’altro versante, quello per così dire periferico, si coglie un notevole aumento d’interesse reso anche più effervescente, più condiviso dagli strumentali sociali in Rete, che rispetto agli altri convegni questa volta hanno un peso notevole. La pagina Web del Convegno stesso, i suoi supporti Facebook e Twitter rendono partecipe l’utente comune di una ricchezza organizzativa e di riflessione che è ormai capillare in tutto il Paese.

Sarà quindi il primo Convegno ecclesiale nazionale decisamente social?

La Rete ha il merito di rendere completamente interattiva tutta la dimensione dell’aggiornamento, delle proposte, anche delle diverse declinazioni che i temi fondamentali del Convegno assumono nelle diverse diocesi.

Questo significa anche una maggiore attenzione ai giovani?

Sì, sia attraverso iniziative specifiche per loro, sia attraverso il linguaggio, gli strumenti della Rete che sono per loro natura più ordinariamente approcciati dai giovani. Stiamo verificando che c’è un notevole interesse e un importante crescendo d’attenzione ai temi e ai giorni del Convegno.

E per tutti gli altri fedeli, quelli meno social?

L’iniziativa è lasciata molto alla responsabilità dei vari organismi diocesani. Ho toccato con mano la generale premura dei vescovi nel far sì che i temi del Convegno e il Convegno stesso arrivino a coinvolgere la cosiddetta base. L’importante è che il tema nelle diocesi sia recepito, ridiscusso e diventi anche linguaggio comune si cui confrontarci: un linguaggio nuovo, un modo nuovo per la Chiesa di stare in mezzo alla gente.

da Avvenire, 2 agosto 2015

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