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Annunciare il Vangelo in Università Cattolica

di Giuseppe Colombo

Per gli uomini dell’Università Cattolica del Sacro Cuore oggi “annunciare il Vangelo” è un compito simultaneamente facile e difficile.

Annunciare è cosa facile perché è un dono. È infatti mia intima convinzione che Che la gioia muove l’annuncio (Evangelii Gaudium), che per l’uomo in quanto tale (docente o studente, impiegato o dirigente, non importa) l’annuncio nasce dalla gioia donata da Cristo. E, in effetti, soltanto coloro, che hanno provato e provano la grande gioia per avere udito, visto, toccato, contemplato «ciò che era fin da principio […], ossia il Verbo della vita» (I Gv, 1, 1),  avvertiranno l’incontenibile bisogno di annunciare a tutti il Cristo e la sua Chiesa con una spontaneità del tutto naturale.

Tuttavia nessun atto è autenticamente umano se non viene investito dalla luce del giudizio e dalla forza della volontà libera. Si impone quindi a ciascuno il dovere di conoscere la ragione in virtù della quale la nostra gioia non è un sogno passeggero, ma  il riverbero della verità assoluta. Non solo: mentre il vero è conosciuto, il bene deve essere liberamente voluto e quindi, perché vi sia fede autentica, non è sufficiente conoscere che Cristo è Dio: bisogna fermamente volere che egli sia per me e per tutti «via, verità e vita».

E per questo motivo, però, “annunciare è cosa difficile”. Non perché vi sia qualcosa di complicato e di astruso da capire, ma perché – molto semplicemente – occorre possedere l’umiltà e il coraggio della fede, cioè dell’amore. Ed è un campo nel quale è impossibile barare. Delle due l’una: o non credi e ti vergogni di Cristo e taci, oppure credi che Cristo sia l’unico vero Dio e l’unico vero Salvatore dell’uomo e allora ogni occasione diventa propizia per comunicare al maggior numero possibile di tuoi simili questa verità che fa liberi e rende felici.

Annunciare è elementare: facile e difficile, ma elementare; non è necessario essere «dotti» e «sapienti»; anzi, ne sono capaci solo i «semplici». Non si tratta, infatti, di elaborare complesse analisi della realtà e presunte efficaci strategie, ma di essere convinti – primariamente per fede cosciente e sperimentata – che soltanto Cristo possiede il retto giudizio sulla condizione umana e che solo lui ha il potere di liberarci dal peccato e dal male e di donarci la vita piena (per guarire dalla malattia è bene “mettersi in ascolto” di altri malati o del Medico?). Questa semplicità dell’annuncio va nuovamente conquistata, perché da essa dipende il futuro dell’identità del nostro Ateneo.

Del resto solo e unicamente in questa modalità dell’annuncio, che si compie con la più scarna essenzialità possibile della presenza, della parola e dell’azione si innesta quella modalità, che consiste non nel semplice annunciare, ma nell’”insegnare” il “cristocentrismo”. A questo compito sono chiamati principalmente i docenti della “Cattolica”. Infatti, proprio in quanto sono “cattolici”, essi hanno il dovere di rendere ragione della speranza che è in loro (cfr. I Pt, 3, 15), in gradi e modi diversi, ciascuno secondo la propria esperienza di fede, ma anche (qualitativamente) con le proprie competenze disciplinari.

Al fondo e in buona sostanza, non si tratta di operare un’omologazione surrettizia, ponendo lo stesso cappello sul capo di ogni sapere, ma di orientare al fine ultimo, che è Cristo, l’uomo stesso e il suo multiforme sapere: le sue tecniche e le sue discipline, rispettandone la specificità, ma anche entrando in merito al loro statuto epistemologico.

Ci si deve allora chiedere: quale soggetto può compiere una simile opera? E quale sapienza/scienza è architettonica?

In continuità con l’idea di università coltivata da padre Agostino Gemelli, il soggetto 1) dai rapporti interni al mondo cattolico, 2) dalle relazioni con il mondo culturale italiano e straniero, ma soprattutto 3) dalla comunità di docenti e di studenti, luogo effettivo della genesi di una cultura organica della persona e del suo sviluppo.

Quanto alla sapienza architettonica, va innanzitutto notato che in Cattolica abbondano facoltà, corsi di laurea e discipline che hanno a oggetto l’uomo: asicologia, etica, politica, economia, giurisprudenza, sociologia, ecc. Sono tutte “scienze dell’uomo” che oggi lavorano “a partire da” e “su di” un’idea di uomo, accolta e fatta propria: ma – ci si deve chiedere – quanto criticamente? Perciò, al fine di orientarle a Cristo snaturandole, è d’obbligo chiedersi di quale uomo si sta parlando, quando si presume di trattare “scientificamente” dell’uomo. Di qui nasce l’esigenza di possedere una sapienza architettonica. I fondatori del nostro Ateneo l’avevano individuata nella filosofia intesa come metafisica che ha il compito di  stabilire con il massimo rigore possibile alcune verità e criteri fondamentali: ontologici, logici, antropologici, etici. Essa però non può e non deve “imporre estrinsecamente” il suo sapere alle altre discipline; piuttosto è in un dialogo con la teologia, da un lato, e con le cosiddette scienze dell’uomo, dall’altro, che può scaturire la sapienza/scienza architettonica. Per questa via – credo – le singole discipline possono recepire la domanda di senso in modo non dogmatico.

E solo in questo modo l’“annuncio” si fa autenticamente “mediato”: si insegna l’“unitotalità di Cristo”, “quasi folium universi” e si libera e potenzia l’uomo. L’uomo infatti comprende adeguatamente, e di conseguenza vuole e agisce,  nella misura in cui possiede un punto di sintesi esistenziale, che gli permetta di affrontare tutte le circostanze della vita secondo la loro natura.


Giuseppe Colombo
Professore associato di Filosofia morale
Università Cattolica del Sacro Cuore

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