rassegna stampa

Annunciare la speranza nel tempo della sfiducia, sfida per le religioni

di Matteo Liut

Prima la preghiera ecumenica con ortodossi ed evangelici. Poi l’incontro con i rappresentanti dell’ebraismo e dell’islam. Il Convegno si è aperto ieri alle Chiese cristiane e alle altre fedi monoteiste. «Oltre le differenze, chiamati alla riconciliazione»

La costruzione del nuovo umanesimo richiama le diverse fedi a una responsabilità condivisa nei confronti del mondo, che si aspetta dalle religioni un autentico annuncio di speranza. È questo l’appello che ieri mattina i rappresentanti delle Chiese cristiane, dell’ebraismo e dell’islam hanno condiviso con i delegati del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze.

I lavori della quarta giornata, infatti, si sono aperti a Firenze con la preghiera ecumenica presieduta dal vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. A commentare il brano tratto dal secondo capitolo della Lettera ai Filippesi di san Paolo sono stati Georgij Blatinskij, arciprete della Chiesa ortodossa russa di Firenze, e Letizia Tomassone, pastora della Chiesa valdese fiorentina.

«L’inno cristologico di Filippesi offre a tutti noi un modello di comportamento – ha sottolineato Blatinskij –. L’umiltà di Cristo è un ideale che è stato anticipato dalle profezie di Isaia, che nel capitolo 7 parla della distinzione tra il bene e il male. Proprio questa capacità di scegliere sta alla base del paradigma antropologico cristiano». In questa scelta, ha proseguito Blatinskij, ci aiuta «l’esempio dei santi, sia quelli dell’Oriente che quelli dell’Occidente».

Secondo Letizia Tomassone, il brano, già commentato da papa Francesco, ha alcuni punti forti molto chiari. «Lo svuotamento, la povertà, l’identificazione con i poveri, l’abbandono della centralità del proprio interesse ». Nella Lettera ai Filippesi san Paolo, ha notato la pastora, «si rivolge a una Chiesa che vive il conflitto, ma l’apostolo lancia il suo messaggio in modo da non allontanare chi ascolta, non rimprovera ma cerca di valorizzare i doni della comunità». Oggi questi doni «ci sono ancora anche tra le Chiese » e possono essere una risorsa per superare i conflitti. In definitiva, ha concluso la pastora, «Dio ci sfida a vivere tutte le risorse per un cammino di riconciliazione che parta da uno svuotamento dei nostri poteri e che ci unisca nell’ascolto reciproco e del mondo». A portare un saluto da parte delle proprie comunità ai partecipanti al Convegno di Firenze sono stati Izzeddin Elzir, imam di Firenze e presidente dell’Unione comunità islamiche d’Italia (Ucoii), e Joseph Levi, rabbino capo della comunità ebraica di Firenze. Il dialogo interreligioso, ha sottolineato l’imam nel suo intervento, «non deve avvenire solo tra le teologie, è necessario che avvenga tra uomini e donne di diverse fedi, culture, realtà». Abbiamo bisogno di un incontro tra comunità perché «solo un confronto dal basso può creare una nuova cultura dove l’altro è visto come una risorsa e una ricchezza, e non come un nemico o una minaccia. Il lato oscuro, l’estremismo e il terrorismom può essere vinto solo lavorando insieme, costruendo ponti e non muri. Sappiamo che è un cammino lungo e faticoso – ha concluso l’imam – ma è l’unica strada che abbiamo davanti per un’autentica convivenza pacifica». «Il compito comune che ci attende – ha detto da parte sua il rabbino capo Levi, che ha ricordato anche il 50° anniversario della dichiarazione conciliare Nostra aetate – è quello di offrire la speranza». E solo se impareremo ad avere una «visione più realistica di noi stessi con le nostre luci e le nostre ombre, accettando l’altro nella sua complessità », sarà possibile per le fedi monoteiste ridare «fiducia all’uomo nella sua stessa capacità di contenere la crisi e di riscoprire il contatto con il divino e ascoltare il divino che parla dentro di noi».

da Avvenire, 13 novembre 2015

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