segni dell'umano

Antropologia del volto di Cristo

di Alessandro Rossi

Una galleria di 120 volti di Gesù nella storia della pittura per “illustrare” l’inno di Firenze 2015 Cristo, Maestro di umanità. Un commento al video realizzato dalla redazione

Un montaggio pulsante, una sequenza di volti, il cui protagonista, Gesù Cristo, affiora e svanisce sempre uguale e sempre diverso. Una sequela di immagini senza principi di organizzazione cronologica, geografica, stilistica o narrativa. Nessun punto di vista assiomatico guida la visione, solo l’invito a un “faccia a faccia”, a un incontro che non si sottrae allo sguardo dell’altro perché l’atteggiamento di chi osserva non teme di “perdere la faccia” né si preoccupa di “salvarla”. Non una grammatica del volto, che si presterebbe ad argomenti etnografici o psicologici attraverso l’analisi fisiognomica, ma un’antropologia del volto che aspiri a intuire e a percepire la differenza che sussiste tra la rappresentazione delle fattezze umane e la presenza della persona che vi si incarna e le attraversa. Un montaggio in cerca dell’umanità. Dell’umanità espressa dal volto del figlio di Dio, che non porta necessariamente in sé i tratti – per lo più sconosciuti – del personaggio storico, ma i tratti di un uomo scelto come modello di quella che potrebbe essere l’espressione dell’umanità divina.

Eppure – come è noto – tutte le varianti della leggenda apparsa sul finire del VI secolo concordano sul punto che Cristo abbia stampato il proprio viso su un lenzuolo, creando in tal modo una prima “vera immagine” del suo volto: il mandylion (o immagine di Edessa). Tale immagine fu trasportata, sempre secondo la leggenda, a Costantinopoli nel 944, da dove un’intera serie di facsimili cominciò a emanare la propria aura.

Ed è infondo quest’ultima – l’aura – che conta nel porsi di fronte a un volto. Percepire la luce, più o meno intensa, che da questo affiora, per illuminare lo spazio che da questo ci separa. Lo stesso spazio, ma anche il tempo necessario, che nel video ci è concesso per avere la possibilità di fissare nella mente ogni volto che ci si presenta davanti agli occhi. Questo spazio e questo tempo, che sono infinitesimali, non costituiscono un luogo neutro di passaggio tra l’apparizione di un volto e un altro, ma realizzano il luogo dell’attesa e del compimento, il luogo dell’incontro, l’intermezzo della memoria e della speranza, la faglia fra l’“io” dell’osservatore e il “tu” del volto di Cristo, in qualsiasi modo e stile quest’ultimo ci appaia o si manifesti. È quindi la scia silente, il passaggio muto da una rappresentazione all’altra su cui è necessario focalizzare l’attenzione. Quello che interessa è la dialettica dello sguardo che, nell’osservare questo video, deve voler tendere a riappacificare i due poli che la caratterizzano: l’impazienza dell’incontro, ossia il desiderio di guardare l’immagine di un nuovo volto che, rassicurante, ricambi il nostro sguardo da una parte e la consapevolezza dell’impossibilità di fissare una volta per tutte l’immagine di un viso, che, proprio in quanto tale, è, e vuole rimanere, inappropriabile, dall’altra.

Sistole e diastole di un battito, la sequenza ritmica delle immagini scandisce la viva presa di coscienza di chi osserva questi volti scorrere, segnando l’intima consapevolezza di come siano tanto le somiglianze quanto le differenze a creare i connotati dell’umano e del divino. A farsi riconoscere in questo fluire di immagini non è solo l’effige di Cristo, la sua tradizionale iconografia – nelle sue diversificate e ben individuabili rappresentazioni nel corso dei secoli – ma è anche la necessità di non volere a tutti costi trattenere la fisionomia di un volto per poterla chiudere in una riconoscibilità da gestire, controllare e, nel peggiore dei casi, strumentalizzare. Cristo lo si riconosce. Egli costantemente si mostra, senza indugio né timore, ma al tempo stesso, nel suo gratuito mostrarsi, non lascia che le sue fattezze umane possano essere descritte e definite una volta per tutte né da mano d’artista né dalla sacra impronta sofferente del suo stesso volto.

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