rassegna stampa

«Coraggio e umiltà per ripartire insieme»

di Marco Iasevoli

Dalle parole del Papa uno sprone alla comunità ecclesiale. Parlano i delegati al Convegno di Firenze: «Oggi gran parte delle pecorelle è fuori. C’è bisogno di andarle a cercare». E la sollecitazione: «Qui c’è entusiasmo ma va tradotto in scelte concrete». La riflessione dei vescovi: serve essere pastori e non funzionali a noi stessi. Il ruolo del laicato: dalla famiglia ai giovani, sporchiamoci le mani nel mondo

Come una poderosa pacca sulla spalla, degna del miglior don Camillo. Francesco sprona i delegati del Convegno ecclesiale nazionale. E i delegati si lasciano prendere di petto. Perché la posta in gioco è alta. «Non viviamo un’epoca di cambiamento, ma il cambiamento di un’epoca», dice il Papa. La Chiesa è di fronte a questa realtà ineluttabile, è chiamata a farsene carico. E i 2.200 di Firenze rispondono, dialogano, interagiscono. Con applausi intensi, cenni di adesione, silenzi pensosi. Vescovi, laici, sacerdoti, religiosi, diaconi: la barca è la stessa, il cammino è uno solo. Da dove si inizia? Monsignor Lucio Angelo Renna, vescovo di San Severo, è quasi sorpreso dalla domanda mentre passeggia da solo ancora pensando a quanto ascoltato. «Il punto di partenza è la nostra stessa umanità, altrimenti facciamo un buco nell’acqua». E riprende la sua passeggiata. Poi si volta, come se avesse lasciato qualcosa in sospeso: «Torniamo all’essenziale, e le cose verranno… Prima noi pastori, altrimenti diventiamo funzionali a noi stessi».

Molti presuli lasciano la Cattedrale cercando quasi un’oasi per restare con se stessi, pur essendo in mezzo a centinaia di persone. Quella metafora del Papa sul pastore che resta in piedi grazie al suo popolo è rimasta impressa. «Quando parla Francesco non dobbiamo fare l’errore di pensare che si stia rivolgendo a qualcun altro e non a noi – spiega Beniamino Pizziol, vescovo di Vicenza –. Mentre il Papa parlava io mi esaminavo, cercavo di verificare se rispondevo a questo criterio essenziale, stare in mezzo agli altri. Dopo, solo dopo, ho preso a pensare alla mia diocesi». Forse è il criterio giusto. Partire da sé. Poi allargare il cerchio. E Vicenza è una realtà che ha tanto da raccontare: 800 sacerdoti, laici e religiosi missionari nel mondo, in Sud America, Thailandia, Africa. Una storia di generosità. «Ora dobbiamo ragionare su che cosa sta accadendo nel nostro territorio. Liberarci dall’idea che tutto sia scontato, come nel secolo scorso, quando la Chiesa era insieme istituzione religiosa e sociale, quando la pecorella smarrita era davvero uno. Ora abbiamo 3-4 pecorelle nel recinto, e tutte le altre fuori. Ecco dove nasce l’esigenza di uscire».

C’è consapevolezza. Ma dal Papa arriva la spinta a scegliere. Don Vito, parroco a Bitonto e direttore della Caritas, ne parla alta davanti a un caffè. Racconta il progetto per dare un tetto ai padri separati, spiega quanto sia stato decisivo conoscere una a una tutte le storie. Si guarda intorno, vede entusiasmo per le parole del Papa. E forza la mano: «Ma ora questo entusiasmo deve diventare una scelta. La carità, ad esempio, non può essere un ramo della pastorale, deve essere una sensibilità di tutta la comunità. Abbiamo perle di giovani e adulti pronti a mettersi in gioco, però dobbiamo alleggerire e trasformare. Alleggerire, essere meno rigidi, meno pesanti. E trasformare quello che facciamo in un’unica direzione, l’incontro con l’altro. Il Papa ci sta dicendo che in giro c’è molta più sete di Dio di quanto pensiamo». A voler leggere gli atteggiamenti, i sorrisi, le pieghe del viso sono i laici a fremere di più. Nicola, giovane papà di Avellino, non ha dubbi: «La Chiesa di ogni giorno, la Chiesa che qualcuno orribilmente definisce “dal basso”, già vive questa immersione nel mondo, nel popolo. Dobbiamo farla emergere». A fianco a lui c’è Angela, di Aversa, che ripete tre parole: umiltà, disinteresse, beatitudine. Sono rimaste impresse. Le ripassa a memoria anche suor Francesca, di Taranto: «Sono tre parole concrete. Arrivano dentro la vita delle nostre parrocchie. E richiedono un bagaglio importante, l’educazione alla donazione di sé totale e libera».

Le riprendono, le tre parole di Francesco, anche Maria Carla e Renzo, coppia di Adria Rovigo. Hanno una cosa bella da raccontare: «Cerchiamo di essere una famiglia in mezzo alle famiglie. I nostri quattro figli si occupano dei bambini e dei ragazzi, e noi coinvolgiamo i loro genitori. Andiamo nelle loro case con il parroco, e lì vediamo con i nostri occhi le ferite delle separazioni, la malattia, gli anziani. Solo ascoltandoli riusciamo a proporre cammini che li interrogano. Non c’è altra via». Fa eco alla loro esperienza quella di don Enzo, di Isernia: «Ho visto quanto è importante coinvolgere i laici nelle esperienze di nuova evangelizzazione. Loro ci mettono dentro la vita, l’umanità, e io posso fare il sacerdote, colui che accompagna, sostiene. Ai nostri pastori chiediamo più profezia, ci devono aiutare a non soffocare chi già si è aperto senza paura». Ma fa davvero così paura aprirsi e uscire? Cecilia e Alessandra, due ragazze di Reggio Emilia, si guardano negli occhi e pensano agli 8 mesi di convivenza universitaria con una coetanea musulmana. «Ecco, vedete, non abbiamo mica perso la fede…», dicono con un po’ di imbarazzo. Poi si fanno serie: «A noi è piaciuta tanto la metafora della medaglia spezzata, che non vale solo per i poveri ma anche per i giovani: ecco, ogni giovane ha lasciato metà della sua medaglia nelle mani della Chiesa». Il sogno di una “Chiesa inquieta” ha molti artigiani pronti a mettersi al lavoro. «Sì, ci siamo tutti, e abbiamo le fondamenta per affrontare come Chiesa il terzo millennio», spiega al temine di una lunga giornata Francesco Cacucci, arcivescovo di Bari-Bitonto. Cammina a passo veloce per le strade di Firenze, ha a cuore soprattutto un concetto: «Chi prova a leggere le parole del Papa in chiave politica va fuori asse. Il cristianesimo non è un’ideologia, il Vangelo non è una clava che si agita contro gli altri. Lui rappresenta la fedeltà a Cristo e noi, collegio dei vescovi, siamo fedeli alla sua guida. Ci ha messi di fronte a Gesù, all’Ecce homo di Santa Maria del Fiore. Ecco, è questo l’essenziale: partire da Gesù e dalla sua incarnazione».

da Avvenire, 11 novembre 2015

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