rassegna stampa

«Da Firenze una Chiesa più forte. Ora coraggio e creatività»

di Francesco Ognibene

Idee per il dopo Firenze

«Ma allora che cosa dobbiamo fare? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere». Questa di Francesco in Cattedrale martedì è una delle frasi che certamente hanno interpellato di più i delegati sulla strada del ritorno alla quotidianità. Cosa ci attende adesso? E prima ancora, con quali convinzioni si torna al lavoro? «La bella novità di Firenze – è l’opinione di monsignor Domenico Umberto D’Ambrosio, arcivescovo di Lecce – è che ormai appartiene a tutta la Chiesa italiana la consegna del Papa: dobbiamo uscire, abbandonare le nostre pretese certezze lasciandoci guidare dalla mano di Dio. C’è nella Chiesa di questo Paese una ricchezza straordinaria che sinora abbiamo forse sottovalutato: laici con grande maturità umana e cristiana, che amano la Chiesa, vogliono bene ai loro vescovi, e che avvertono il disagio di una frattura sempre più evidente tra noi e il mondo che si incammina per i fatti suoi». Di «bilancio molto positivo» parla lo storico Agostino Giovagnoli, anch’egli a Firenze come semplice partecipante. «Da Firenze – riflette – esce una Chiesa più forte perché c’è stato un bel confronto ecclesiale, con tante voci che svelano una vitalità profonda e un pluralismo ampio, dicendo però anche molto del bisogno di confronto». I ‘compiti a casa’ li ha dati lo stesso Papa «quando ha indicato la via sinodale, ponendo la Evangelii gaudium come riferimento. Non l’ha fatto in modo vago ma parlandone come di un impegno serio col quale ci si dovrà confrontare». La Chiesa italiana vista a Firenze per Giovagnoli è «una Chiesa bella, piena di uomini e donne di buona volontà che si interrogano seriamente su quello che fanno ponendosi il problema della propria insufficienza e chiedendosi come fare di più. È una forza viva, che però sia in grado di parlare efficacemente al Paese è ancora da vedere. Il Papa mostra di saperlo fare, la Chiesa in Italia deve imparare da lui».

Una delle voci più fresche del Convegno è quella di Maria Mascheretti, che insegna lettere in un liceo scientifico statale di Primavalle, periferia di Roma: «Per chi come me è dentro un’istituzione educativa non cattolica Firenze è stata una grande spinta – ragiona, entusiasta – perché ho sentito di essere dentro una Chiesa che sta pensando, cerca, si interroga. Ora spero e mi attendo che sia sempre più in dialogo con la dimensione laica della società e dell’educazione, diventando capace di fare rete con tutte le realtà del territorio. Nella scuola statale c’è una grande passione formativa che ci accomuna: entrare in sinergia farebbe del bene a tutti».

Esigente e realista il giudizio di don Francesco Pierpaoli, referente per la Pastorale giovanile delle Marche: «Le parole del Papa a Firenze – spiega – sono in continuità con quello che la Chiesa italiana ha detto dal Convegno di Palermo in avanti ma che poi non ha saputo fare sino in fondo. Oggi ci viene chiesto di compiere davvero quello che andiamo dicendo con convinzione da tempo. Aver messo tutti attorno a un tavolo ci ha fatto vedere quello che ancora manca: l’esperienza comunitaria». Uno stile che dovrebbe ispirare parrocchie e diocesi, che a volte «si vedono come fortini col loro monarca». La risposta è la sinodalità, anche se «non basta parlarne: ora diamoci strumenti e percorsi». Quanto ai giovani, «non sono i panda da esibire quando servono: vanno ascoltati. Nel mio gruppo è stata citata l’immagine di Gesù che usciva di notte a pregare. Ecco: i giovani ‘escono di notte’ per confrontarsi con una realtà non sempre luminosissima, ma lo fanno perché non gli va di stare sul balcone, il posto dove li abbiamo confinati».

Per monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, «la Chiesa italiana dal Concilio a oggi non si è mai fermata, ha affrontato le sfide decennio dopo decennio con i Convegni ecclesiali come occasioni per verificare e ridefinire il cammino. Quella di Firenze è una tappa che consente di mettere a frutto le istanze già emerse attraverso gli Orientamenti pastorali sull’educare alla vita buona del Vangelo, declinate oggi con questo dono straordinario di grazia che è papa Francesco». Non si tratta di archiviare quanto fatto sinora ma «piuttosto di infondere nuove energie». Bando alla fretta, però: «Diamoci tempo per distillare le idee».

Della generale soddisfazione per le giornate fiorentine si fa portavoce Osvaldo Songini, preside di una scuola paritaria a Milano, che parla di «gioia di aver sperimentato una sinodalità di fatto: seduti ai tavoli dei gruppi, abbiamo lavorato fianco a fianco, laici, sacerdoti, vescovi, rispettandoci, comprendendoci, ascoltandoci, impegnati insieme a comprendere e affrontare la realtà». Il ‘metodo Firenze’ «insegna che a volte più che cercare soluzioni all’insegna dell’efficienza organizzativa conta lavorare sulla sintonia con gli altri: si ottengono molti più risultati se ci si ascolta con empatia di cuore e di intelligenze. È la condizione per agire sul contesto attorno a noi esplorando vie nuove, con coraggio e creatività, ancorati al Gesù di sempre».

da Avvenire, 15 novembre 2015

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