rassegna stampa

Dai laboratori le risposte per l’uomo

di Matteo Liut

È il tempo del “laboratorio”, il momento di mettere sul tavolo idee, speranze, richieste e, perché no, perplessità, dubbi, delusioni. Il lavoro dei delegati al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze non è semplice perché «non esistono formule magiche o soluzioni precostituite» eppure tutti sono consapevoli dell’urgenza di tradurre nel concreto della vita quotidiana delle comunità cristiane gli spunti emersi. Eppure parlando con i partecipanti ai lavori emerge chiaramente come gli strumenti per dare voce al rinnovamento ci siano già, basta saperli utilizzare. «Abbiamo sentito parlare di sinodalità, abbiamo preparato il Convegno in modo sinodale e stiamo vivendo un’esperienza di Sinodo a Firenze: è questa la chiave per il futuro», afferma convinto don Luca Franceschini, della diocesi di Massa Carrara-Pontremoli. Ma come si traduce tutto questo? «Ad esempio valorizzando e facendo funzionare come dovrebbero i Consigli pastorali parrocchiali e diocesani – nota il sacerdote – . Sono strumenti che devono ritrovare la loro funzione originaria. Devono essere, insomma, espressione di una comunità responsabilizzata dove il parroco non è da solo a decidere. Questo permetterebbe di dare stabilità ai cammini anche di fronte ai naturali cambiamenti come la nomina di un nuovo parroco».

Anche Francesco Antonetti, presidente della Confederazione delle Confraternite d’Italia, insiste sulla necessità di un cammino condiviso. «I numerosissimi membri delle confraternite sentono sempre di più l’esigenza di crescere insieme, di intraprendere percorsi formativi che sappiano valorizzare il saldo fondamento di fede alla base di questo tipo di appartenenza». Insomma, lo stile della sinodalità non deve escludere l’identità specifica di associazioni e movimenti, che a Firenze stanno dando il loro prezioso contributo ai lavori.

E poi, notano i delegati, accanto alle soluzioni pastorali, alle scelte concrete da mettere in pratica ci vuole anche, di fondo, la «convinta ricerca di un rinnovamento spirituale ». Lo notano Christian, delegato della diocesi di Sulmona-Valva, e Rossella, delegata di Milano. «Le soluzione concrete le stia-È mo elaborando e siamo convinti che emergeranno – sottolineano – ma non dobbiamo dimenticarci la dimensione fondamentale della vita in Gesù Cristo, che è il cardine fondamentale dell’intera esperienza di fede». Il messaggio è chiaro: una forte risposta al mondo contemporaneo e alle sue inquietudini può sgorgare solo da una comunità che coltiva la vita dello spirito e i segni della presenza di Dio. «Solo così potremo cominciare a rileggere non solo la realtà che ci circonda ma l’intera nostra esistenza con occhi nuovi – sottolinea da parte sua Andreana Bassanetti, fondatrice dell’associazione “Figli in cielo” –. È questo il senso del “trasfigurare” cui siamo chiamati continuamente come singoli e come comunità».

Guardare l’uomo con gli occhi di Dio, inoltre, permette anche di «mettere a rendita» il patrimonio di beni di proprietà della Chiesa. «Ma, ovviamente la “rendita” non deve essere economica bensì sociale, culturale e spirituale», nota Andrea Gillone, delegato della diocesi di Lanusei, dove si occupa dell’edilizia di culto. «Molte volte oggi non si comprende che la comunità cristiana vive la gestione del proprio patrimonio come un servizio anche all’intera società civile, ai vicini come ai lontani – sottolinea l’architetto –. Il nostro compito è quello di continuare a gestire questi beni come una risorsa a favore dei bisognosi. Senza dimenticare anche il “dovere della memoria”: spesso, infatti, quei muri sono testimoni di una storia, di radici lontane e di buone prassi». Saper leggere questa memoria, insomma, potrebbe ancora oggi suggerire soluzioni e percorsi per diventare compagni dell’uomo di oggi.

da Avvenire, 12 novembre 2015

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