rassegna stampa

Don Tarocchi: dobbiamo tornare alle radici del cristianesimo

di Francesco Ognibene

Il preside della Facoltà teologica dell’Italia centrale parla delle aspettative che la Chiesa ripone nell’appuntamento. «Siamo di fronte alla prima generazione che vive ai margini della fede, ma dalla Chiesa sembra attendersi una parola significativa per la sua vita»

Prima ancora di iniziare, il Convegno di Firenze ha già seminato aspettative e speranze certamente frutto della nuova stagione ecclesiale ma anche dall’ampiezza della fase preparatoria. «Sì, siamo in attesa di qualcosa di nuovo», dice don Stefano Tarocchi, preside a Firenze della Facoltà teologica dell’Italia centrale, oltre che parroco di una comunità sul margine del Chianti fiorentino.

Quali attese è lecito nutrire su Firenze?

Di certo il Convegno si pone in modo diverso dai precedenti, anche per via della giornata col Papa programmata all’inizio e non alla conclusione dell’assemblea. Sarà Francesco a dare l’impostazione ai lavori, offrendo l’immagine di Chiesa che ha scolpito nella Evangelii gaudium. A Firenze lo attendono tutti con grande interesse, c’è stata un’autentica caccia al biglietto per la Messa.

Quale messaggio si attende dal Convegno?

L’idea decisiva che l’immagine dell’uomo nuovo è in Gesù Cristo, superando la dicotomia tra umanesimo cristiano e laico. A Firenze tutto parla di un’umanità ispirata dal Vangelo, senza aggettivi: la stessa Cattedrale fu costruita per volere della città, il segno che l’annuncio cristiano agisce dentro la res publica, come ci insegna un sindaco fiorentino come Giorgio La Pira. È a partire da questa consapevolezza di sé che la Chiesa evangelizza, diversamente si annoda su se stessa.

E che messaggio può inviare alla gente la Chiesa che si raduna a Firenze?

Siamo di fronte alla prima generazione che vive ai margini della fede, ma dalla Chiesa sembra attendersi una parola significativa per la sua vita. L’impegno che ci attende oggi è tornare alle radici del cristianesimo, che dev’essere evangelizzante, far sentire tutti coinvolti, senza competere con nessuno ma sfuggendo alla presa di chi lo vorrebbe relegare a club o a museo.

Di quale Chiesa c’è bisogno oggi?

Vedo una grande attenzione verso il messaggio cristiano che torna a essere un’esigenza profonda dell’uomo. A quest’uomo che la cerca la Chiesa deve sapersi rivolgere per invitarlo a riscoprire se stesso, anche per umanizzare la società civile. È proprio quando siamo coscienti di essere minoranza che diventiamo più credibili per una missione simile, e quindi più ascoltati. È la lezione che ci danno i cristiani perseguitati.

Le cinque “vie” del Convegno di Firenze possono essere efficaci in questa missione?

Sono un modo per dire che essere cristiani oggi è un modo significativo di vivere, mettendo in evidenza che le formule cristiane sono dense di vita e di Vangelo. Non sono semplicemente cinque belle parole, ma una modalità per mostrare una Chiesa che si mette in discussione, che cerca strade nuove, e diventa più interessante.

A una parrocchia che cosa possono dire le giornate di Firenze?

Il metodo dell’ascolto, la valorizzazione di figure e di voci nuove, la condivisione della vita vera della gente e delle sue necessità. C’è molta strada da fare, ma è lo stesso Concilio che attende ancora largamente di essere attuato.

da Avvenire, 10 novembre 2015

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