rassegna stampa

Firenze 2015: un bagno di folla accoglie papa Francesco al Franchi

“Mantenere un sano contatto con la realtà, con ciò che la gente vive, con le sue lacrime e le sue gioie, è l’unico modo per poterla aiutare, formare e comunicare”. Ne è convinto il Papa, che nell’omelia della Messa presieduta allo stadio comunale di Firenze “Artemio Franchi”, nella seconda giornata del Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana, ha affermato che questo “è l’unico modo per parlare ai cuori delle persone toccando la loro esperienza quotidiana: il lavoro, la famiglia, i problemi di salute, il traffico, la scuola, i servizi sanitari…”. È l’unico modo, ha aggiunto, “per aprire il loro cuore all’ascolto di Dio. In realtà, quando Dio ha voluto parlare con noi si è incarnato. I discepoli di Gesù non devono mai dimenticare da dove sono stati scelti, cioè tra la gente, e non devono mai cadere nella tentazione di assumere atteggiamenti distaccati, come se ciò che la gente pensa e vive non li riguardasse e non fosse per loro importante”.

Nell’omelia della Messa allo stadio comunale di Firenze, Francesco ha commentato le domande poste da Gesù nel Vangelo odierno ai suoi discepoli. Anzitutto: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”, domanda che “dimostra quanto il cuore e lo sguardo di Gesù sono aperti a tutti. A Gesù interessa quello che la gente pensa non per accontentarla, ma per poter comunicare con essa. Senza sapere quello che pensa la gente, il discepolo si isola e inizia a giudicare la gente secondo i propri pensieri e le proprie convinzioni”. Questo, il monito del Papa, “vale anche per noi. E il fatto che oggi ci siamo radunati a celebrare la Santa Messa in uno stadio sportivo ce lo ricorda”. La Chiesa, ha detto Francesco, “come Gesù, vive in mezzo alla gente e per la gente. Per questo la Chiesa, in tutta la sua storia, ha sempre portato in sé la stessa domanda: chi è Gesù per gli uomini e le donne di oggi?”. Anche san Leone Magno, originario della Toscana, di cui oggi si celebra la memoria, “portava nel suo cuore questa domanda, quest’ansia apostolica che tutti potessero conoscere Gesù, e conoscerLo per quello che è veramente, non una sua immagine distorta dalle filosofie e dalle ideologie del tempo. Per questo è necessario maturare una fede personale in Lui”.

Francesco, nell’omelia odierna allo stadio fiorentino “Artemio Franchi”, si è soffermato quindi sulla seconda domanda di Gesù ai discepoli: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Domanda che, ha osservato, “risuona ancora oggi alla coscienza di noi suoi discepoli, ed è decisiva per la nostra identità e la nostra missione. Solo se riconosciamo Gesù nella Sua verità, saremo in grado di guardare la verità della nostra condizione umana, e potremo portare il nostro contributo alla piena umanizzazione della società”. “Custodire e annunciare la retta fede in Gesù Cristo – ha spiegato il Pontefice – è il cuore della nostra identità cristiana, perché nel riconoscere il mistero del Figlio di Dio fatto uomo noi potremo penetrare nel mistero di Dio e nel mistero dell’uomo”. Secondo il Papa, la risposta di Simone a Gesù, “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, racchiude “tutta la missione di Pietro e riassume ciò che diventerà per la Chiesa il ministero petrino, cioè custodire e proclamare la verità della fede; difendere e promuovere la comunione tra tutte le Chiese; conservare la disciplina della Chiesa”. Papa Leone “è stato e rimane, in questa missione, un modello esemplare, sia nei suoi luminosi insegnamenti, sia nei suoi gesti pieni della mitezza, della compassione e della forza di Dio”.

“Anche oggi”, ha affermato il Papa nell’omelia allo stadio comunale di Firenze, “la nostra gioia è di condividere” la fede e “rispondere insieme al Signore Gesù: ‘Tu per noi sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’. La nostra gioia è anche di andare controcorrente e di superare l’opinione corrente, che, oggi come allora, non riesce a vedere in Gesù più che un profeta o un maestro”. La nostra gioia, ha aggiunto Francesco, “è riconoscere in Lui la presenza di Dio, l’inviato del Padre, il Figlio venuto a farsi strumento di salvezza per l’umanità. Questa professione di fede che Simon Pietro proclamò rimane anche per noi”. Essa “non rappresenta solo il fondamento della nostra salvezza, ma anche la strada attraverso la quale essa si compie e il traguardo a cui tende”.

“Alla radice del mistero della salvezza” sta “la volontà di un Dio misericordioso”, che si dona all’uomo “fino a farsi Egli stesso uomo per incontrare ogni persona nella sua condizione concreta”, ha detto il Papa nell’omelia della Messa allo stadio di Firenze. Un amore misericordioso che Pietro riconosce sul volto di Gesù, “lo stesso volto che noi siamo chiamati a riconoscere nelle forme in cui il Signore ci ha assicurato la sua presenza in mezzo a noi”: nella sua Parola, nei suoi Sacramenti, nella comunione fraterna, nell’amore senza confini “che si fa servizio generoso e premuroso verso tutti; nel povero, che ci ricorda come Gesù abbia voluto che la sua suprema rivelazione di sé e del Padre avesse l’immagine dell’umiliato crocifisso”. Questa verità della fede “è verità che scandalizza – ha chiosato Francesco -, perché chiede di credere in Gesù, il quale, pur essendo Dio, si è svuotato, si è abbassato alla condizione di servo, fino alla morte di croce, e per questo Dio lo ha fatto Signore dell’universo”. È la verità “che ancora oggi scandalizza chi non tollera il mistero di Dio impresso sul volto di Cristo” e che “non possiamo sfiorare e abbracciare senza, come dice san Paolo, entrare nel mistero di Gesù Cristo, e senza fare nostri i suoi stessi sentimenti”. Solo “a partire dal Cuore di Cristo – la conclusione di Francesco – possiamo capire, professare e vivere la Sua verità”.

“La comunione tra divino e umano, realizzata pienamente in Gesù, è la nostra meta, il punto d’arrivo della storia umana secondo il disegno del Padre”. Ne è convinto il Papa. Nell’omelia della Messa allo stadio fiorentino “Artemio Franchi”, presieduta nell’ambito del quinto Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa italiana in corso a Firenze, Francesco ha spiegato che questa comunione è “la beatitudine dell’incontro tra la nostra debolezza e la Sua grandezza, tra la nostra piccolezza e la Sua misericordia che colmerà ogni nostro limite. Ma tale meta non è soltanto l’orizzonte che illumina il nostro cammino ma è ciò che ci attrae con la sua forza soave; è ciò che si inizia a pregustare e a vivere qui e si costruisce giorno dopo giorno con ogni bene che seminiamo attorno a noi”. Sono questi “i semi che contribuiscono a creare un’umanità nuova, rinnovata, dove nessuno è lasciato ai margini o scartato; dove chi serve è il più grande; dove i piccoli e i poveri sono accolti e aiutati”.

“Dio e l’uomo non sono i due estremi di una opposizione: essi si cercano da sempre, perché Dio riconosce nell’uomo la propria immagine e l’uomo si riconosce solo guardando Dio”, ha osservato il Santo Padre avviandosi alla conclusione dell’omelia della Messa allo stadio comunale di Firenze. Questa, ha precisato, “è la vera sapienza, che il Libro del Siracide segnala come caratteristica di chi aderisce alla sequela del Signore. È la sapienza di san Leone Magno, frutto del convergere di vari elementi: parola, intelligenza, preghiera, insegnamento, memoria”. Ma san Leone ci ricorda anche che “non può esserci vera sapienza se non nel legame a Cristo e nel servizio alla Chiesa. È questa la strada su cui incrociamo l’umanità e possiamo incontrarla con lo spirito del buon samaritano”. Non per nulla l’umanesimo, “di cui Firenze è stata testimone nei suoi momenti più creativi, ha avuto sempre il volto della carità. Che questa eredità – l’auspicio conclusivo di Francesco – sia feconda di un nuovo umanesimo per questa città e per l’Italia intera”.

Prima di lasciare lo stadio comunale di Firenze, dove ha presieduto la Messa che ha concluso la sua visita pastorale odierna nel capoluogo fiorentino in occasione del Convegno ecclesiale nazionale, Papa Francesco ha voluto ringraziare il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, “padrone di casa”, i cardinali e i vescovi e tutti i membri della Chiesa italiana. Un grazie speciale ai detenuti della casa circondariale di Sollicciano che hanno costruito l’altare in legno utilizzato per la celebrazione, disegnato dall’architetto Riccardo Damiani. “Voglio dire un grazie ai carcerati che hanno fatto questo altare dove Gesù oggi è venuto – le parole del Papa -. Grazie per aver fatto questo per Gesù”. “A tutti voi – ha concluso – grazie tante e per favore vi chiedo di pregare per me”. Al termine della Messa con i cinquantamila fedeli all’interno dell’impianto, il cardinale Betori ha espresso al Pontefice il ringraziamento della Chiesa e di tutti i partecipanti al Convegno “per questa celebrazione eucaristica”. Essi “riconoscono nell’eucaristia la sorgente della missione della Chiesa” e “si sono sentiti da lei guidati”. “Firenze – ha aggiunto – si sente particolarmente vicina alle sue attese” di attenzione “alle donne e agli uomini del nostro tempo, specialmente poveri”. Richiamando la storia di Firenze, anche attraverso parole di Mario Luzi, Betori ha concluso: “Grazie di averci esortati a essere pieni eredi di questa storia di carità, di misericordia, di pietà”.

Fonte: SIR – Servizio Informazione Religiosa (10 novembre 2015)

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