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Gli odori della crisi, il profumo dell’umanesimo

di Francesco Occhetta

“L’uomo non è solo ciò che consuma”. Questo desiderio latente sta emergendo dalle culture e da tante persone che, anche nei social network, esprimono l’amore per la vita davanti a tanta crisi di senso. Si respira un desiderio di «una nuova primavera»; è vero, il cambio epocale, segnato dalla crisi in corso sia istituzionale sia antropologica, ha posto l’umanità davanti ai suoi limiti: paura sociale e individuale, legami sempre più fragili e mutevoli, città per molti aspetti alienanti, guerre tra poveri sempre meno giustificabili…

La crisi di sistema e lo smarrimento del senso

Quella in corso è una crisi di sistema, non è la crisi di un partito, di alcuni leader, o del funzionamento delle Istituzioni. I “fattori antidemocratici” che minano la possibilità i vivere in pace in Ordinamenti democratici retti dallo Stato di diritto sono ancora molti, ne accenniamo alcuni:
– la crisi del fondamento dei diritti umanisanciti nella Dichiarazione Universale dei diritti Umani (1948), messo in discussione dalla cultura asiatica o da religioni come l’islàm e il buddismo;
– l’infiltrazione dei poteri criminali (le mafie, il narcotraffico, il traffico di prostituzione e altri);
– la scarsa credibilità della stampa spesso poco indipendente e trasparente;
– la crisi dei partiti che hanno occupato le istituzioni;
– l’evasione fiscale;
– le grandi manovre finanziarie che sono fatte in spazi internazionali che vanno oltre le competenze degli Stati.

Esiste però l’altra faccia della medaglia, ed è la parte di cultura che silenziosamente fa crescere la foresta del mondo senza spaventarsi del rumore degli alberi che cadono. È la nuova cultura democratica che la Chiesa considera come un modo di vivere basato sulla responsabilità individuale e delle comunità, prima ancora di essere una forma di governo.
Il processo è inarrestabile, e i dati lo dimostrano: nel 1980 il 46% della popolazione mondiale viveva in Stati fondati su standard democratici minimi (stato di diritto, pluralismo, elezioni libere, libertà di espressione), nel 2010 la popolazione mondiale sotto regimi democratici era salita al 70%, in 130 Stati dei 191 che sono membri dell’Onu.

L’aspetto antropologico che sta toccando il versante della cittadinanza è invece il cambiamento del telos (il fine) delle società, degli interessi e dei gusti delle persone: chiese e piazze, almeno in Occidente, si stanno spopolando; i centri commerciali sono diventati “le nuove cattedrali del nostro tempo”, mete di “pellegrini-consumatori”, che scelgono di partecipare ai riti della “religione dei consumi”. In quasi tutte le culture — da quella europea a quelle americana e asiatica — è difficile resistere alla “seduzione”, che induce a consumare più di quanto se ne abbia realmente bisogno.
Tutti hanno un motivo per andarci: le famiglie povere sono attirate dalle logiche dei prodotti «3 x 2»; i giovani si incontrano insieme, vanno al cinema, si vestono e si pettinano secondo l’ultima moda, che il centro commerciale soddisfa in tutto; gli anziani, soprattutto quelli soli e meno abbienti, passano i loro pomeriggi per scambiare qualche parola e, durante i mesi estivi, per usufruire dell’aria condizionata.
Il 70% delle persone europee intervistate da uno studio di qualche anno fa ha dichiarato che la spesa nel centro commerciale è decisa dai bambini, influenzati dalla pubblicità televisiva. Al loro interno non si fa politica, non si ascoltano urla, l’ambiente è pulito.

I riti del consumo portano a confondere la realtà con la fiction, a vivere una città finta uguale a tutte le altre che fa sentire a casa ovunque uno si trovi, a Praga, a Bogotá, a Singapore. Si tratta di esperienze spersonalizzanti e omologanti, che non lasciano tracce di un’esperienza vissuta insieme. Allo stesso tempo però i centri commerciali sono diventati le moderne agorà che offrono spazi sicuri e tranquilli e la possibilità di istaurare quelle relazioni sociali, che non si riesce più a costruire fuori.

Tre vie di speranza

Nella sua proposta di società e di uomo rivolta al mondo, la Chiesa propone di basare una nuova convivenza, ripartendo dall’idea di Stato che nasce dal basso, dai territori attraverso strutture sussidiarie e solidali. Lo Stato di stampo liberale è definitivamente in crisi, lo Stato sociale di matrice umanistico-cristiana è la vera alternativa. Per rigenerare processi democratici sono necessari almeno tre condizioni: la fiducia tra le persone, il senso di appartenenza a comunità politiche locali, l’investimento sugli enti intermedi dello Stato sociale.

La fiducia tra le persone che si crea quando ci si connette e ci si incontra come co-creatori e co-definitori della società, è già capitale sociale. La fiducia è il sale dell’economia; senza di questa, i rapporti sarebbero molto “costosi”. Se mantenere il valore della fiducia costa 1, crearla costerebbe 20; così quando distruggiamo la fiducia tra noi, danneggiamo il sistema economico e sociale a causa dei costi altissimi necessaria per ri-crearla. Gli economisti parlano anche di “costi di transazione”: se un Paese o una persona ha poca fiducia in un altro Paese o in un’altra persona, lo scambio di beni chiederà garanzie contrattuali molto alte. È la sfiducia radicale che genera le guerre e le crisi finanziarie con le loro vittime. La fiducia non ha valore, è semplicemente un capitale relazionale e non si può comprare, ma vale più di qualsiasi altro bene. Come fare per aumentare al fiducia? Investendo sulle relazioni, sulla conoscenza gli uni degli altri, abbattendo gli steccati della diffidenza culturale e sociale, e migliorando i rapporti tra le persone, la fiducia genera anche maggiore felicità.

L’altra dimensione è quella della comunità in cui si vive (famiglia, gruppi di volontariato, associazioni, parrocchie, Ong ecc.). Per la Scrittura la comunità è la dimensione in cui l’uomo diventa una persona (essere in relazione con), ricupera il senso della propria umanità e può ricercare il senso della trascendenza. È il luogo relazionale in cui si ricupera la dimensione locale e sussidiaria degli organismi intermedi.

Ultima dimensione di speranza è la ricostruzione dello Stato sociale.Quando si parla di democrazia, ci si limita a valutarla nei suoi caratteri formali, nelle sue procedure e nelle sue regole, attraverso le garanzie e i doveri codificati dal sistema. È l’eredità liberale in cui l’individuo è svincolato dalle sue relazioni sociali ed è considerato una monade da proteggere nelle sue libertà. Dalla metà del secolo scorso, il Magistero della Chiesa ha voluto che ai diritti sociali e politici corrispondano i diritti economici e sociali, per garantire coloro che non appartengono a classi sociali ricche o a ceti privilegiati. Così lo Stato di diritto può essere sostituito solamente con un’idea di Stato sociale, che la Chiesa ha sempre contribuito a costruire nei Paesi in cui è presente, con ospedali, scuole, mense, servizi nelle carceri, e, attraverso l’idea di giustizia riparativa, modi umani di riconciliarsi e perdonarsi. È lo Stato sociale, prima delle istituzioni, da dover’essere rianimato, in ambiti come la sanità, il lavoro, l’istruzione, la gestione delle risorse del territorio e l’amministrazione della giustizia…

Ripartire dal “mio” mondo

L’alternativa al consumismo, orientato verso l’avere anziché verso l’essere, dipende molto dai comportamenti di ciascuno e dalle scelte di coloro che occupano posti di responsabilità. Soprattutto a loro spetta dare testimonianza e coniugare crescita e profitto, con la tutela delle persone più povere e indifese. Il pericolo è dietro l’angolo. Gustavo Zagrebelsky nel suo volume Crucifige, ricorda come la delega in bianco possa essere un pericolo, fare massa senza voler essere persone può generare una dinamica che si ripete nella storia: “Il crucifige! fu un urlo unanime. Nella folla davanti al pretorio non c’era posto per il dissenso […]. Quella folla non era un soggetto, ma un oggetto. Una folla di questo genere era per sua nauta portata all’estremismo, alle soluzioni senza sfumature, prive di compromessi”.

Davanti a questo pericolo non ci può essere un richiamo all’etica se prima non la si fonda sulla spiritualità. È fallito il modello economico, che ha ridotto l’esperienza del consumo a un surrogato dell’esperienza spirituale; consumando la prima ci siamo consumati invece la seconda è un’esperienza gratuita e liberante, non è mai l’incontro con qualcosa, ma è sempre l’incontro con Qualcuno.

La tragica forza e debolezza dell’uomo e della democrazia si tiene insieme scegliendo il bene e perseguendolo attraverso la responsabilità di tutti gli enti educativi, incluse le parrocchie, gli oratori, i vari gruppi e movimenti cattolici che stentano a parlarsi tra loro; la formazione alla spiritualità della politica, l’educazione alle pratiche della democrazia, il recupero dell’identità locale immersa nel globale e la scelta di uomini “per gli altri” sono per la Chiesa le radici che nutrono i fragili germogli del nuovo umanesimo in corso. Ma a questi dobbiamo crederci.


Estratto di un articolo pubblicato da Popoli e Missione nel maggio 2013, pp. 29-33, ripubblicato su www.francescoocchetta.it.

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