rassegna stampa

Gli “ultimi”, grido della terra 

di Giacomo Gambassi

All’Expo di Milano l’evento nazionale Cei per la custodia del Creato.  L’enciclica «Laudato si’» e Firenze 2015 al centro della tavola rotonda. Il richiamo a salvaguardare il pianeta accogliendo l’umanità ferita L’arcivescovo Santoro: non separiamo persona e ambiente. Il ministro Galletti: vincere l’indifferenza. Longoni: impariamo a guardare il mondo con gli occhi dell’altro

Il grido degli “ultimi” entra all’Expo di Milano insieme con il grido della terra. Fra i padiglioni alla periferia del capoluogo lombardo le ferite della natura abbracciano quelle “silenziate” dell’umanità, a cominciare dall’esodo “biblico” dei profughi in fuga dai conflitti e dalla povertà. Perché se si vuole ascoltare la voce della terra ed esserne davvero custodi (quindi, non più padroni) serve restituire dignità a chi vive nell’esclusione, nell’indigenza, sotto le bombe. Drammi che all’Esposizione universale si impongono con loro bagaglio di dolore grazie alla Chiesa italiana che ha scelto il sito Expo per l’evento-cardine della Giornata nazionale per la custodia del Creato. Un appuntamento celebrato lo scorso 1° settembre e diventato iniziativa planetaria per volontà di papa Francesco che ha istituito la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato da tenersi nello stesso giorno.

Image_1Proprio l’enciclica Laudato si’ ispira il Convegno ospitato ieri mattina nel centro conferenze dell’Expo. E quella precisazione di Bergoglio (non è un testo «verde» ma «sociale») diventa il filo conduttore della tavola rotonda dal titolo “Rinnovare l’umano per custodire il Creato” promossa dal padiglione della Santa Sede con l’Ufficio nazionale Cei per la pastorale sociale e il lavoro, quello per la pastorale del tempo libero, turismo e sport e il Servizio nazionale per il Progetto culturale. La sala non riesce ad accogliere tutti coloro che vorrebbero partecipare. Come a dire che l’attenzione al pianeta letta in chiave evangelica ed espressa nell’urgente prossimità ai “dimenticati” fa breccia.

Se la fede va sempre costruendo un nuovo umanesimo, come indica il quinto Convegno ecclesiale nazionale che si svolgerà il prossimo novembre a Firenze, «il Papa ci invita a non separare l’uomo dall’ambiente», spiega l’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. Tutto ciò per evidenziare che parlare di Creato significa «ascoltare la realtà», sottolinea Santoro. In particolare la voce dei poveri. «Come non pensare – afferma l’arcivescovo – alle immagini di questi giorni che ci raccontano i migranti che, spinti da fame e guerre, perdono la vita». Del resto, aggiunge, «il degrado ambientale e quello umano sono intimamente connessi». Un esempio dei «danni che l’uomo ha prodotto con la sua rincorsa dissennata al profitto» è Taranto, capitale italiana della siderurgia ed emblema di un disastro ecologico. Santoro sostiene che «l’eterno conflitto tra salvaguardia dell’ambiente e dei posti di lavoro non è più tollerabile» e che «la produzione non può essere separata dal rispetto della dignità dell’uomo e dell’ambiente». Quindi va trovata una «equa soluzione fra natura, salute e lavoro» che «in tanti evocano come utopistica» e che invece si può realizzare operando una «conversione», ossia «prendendo coscienza della nostra condizione di abitanti della terra». Quindi il monito del presule a «superare l’individualismo» e a scuotersi di dosso l’«indifferenza».

Parole che tornano nell’intervento del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti. «Non c’è più spazio, né possibilità, né diritto all’indifferenza», afferma il ministro. E, citando Bergoglio, osserva che «la questione delle migrazioni non è slegata da quella della lotta alla povertà e della tutela dell’ambiente». «Le foto e i filmati atroci sulle tragedie dell’immigrazione – insiste Galletti – mettono sotto accusa le nostre coscienze che, distratte, non hanno compreso l’enormità della fenomeno che stava maturando. Un fenomeno di fronte al quale ogni ragionamento su quote o distribuzione dei migranti fra i Paesi, strategie nazionali appaiono aride se non presuppongono una profonda comprensione umana». Non è un caso che il ministro tenga a far sapere che non sarà possibile un «proficuo accordo» alla Conferenza di Parigi sul clima se non verrà rivisto «anche il nostro modello di sviluppo ». E avverte: «Prima e più della capacità di trovare soluzioni tecniche a problemi scientifici, di reperire risorse per finanziare un percorso di sviluppo globale sostenibile, c’è bisogno di uno scatto etico secondo il suggerimento del Papa».

Tre i testimoni chiamati a offrire un loro contributo prendendo spunto dall’enciclica di Francesco. Il coordinatore del progetto “Etica, filosofia e teologia” della Fondazione Lanza, Simone Morandini, si affida a sei parole che iniziano per “c” per analizzare il documento: “cura” e “custodia” rimandano all’«atteggiamento di fondo che dobbiamo assumere», afferma; “cambiamento” e “conversione” evocano la necessità di «giungere a mutamenti sociali e degli stili di vita»; “convocazione” e “contemplazione” esplicitano l’esigenza di «radunarsi intorno a questi temi con uno sguardo di tenerezza». Il tutto per compiere davvero una «rivoluzione culturale». Secondo il direttore dell’Alta Scuola per l’ambiente dell’Università Cattolica, Pierluigi Malavasi, il testo di Bergoglio è un «canto al Dio dei poveri» che esorta a «proteggere il mondo insieme con tutte le sue creature», ad «avere cura delle fragilità», a «custodire gli altri». E fra’ Roberto Lanzi, monaco della comunità “ecologica” di Siloe nella diocesi di Grosseto, propone un’“esegesi” spirituale. «L’allontamento dell’uomo da Dio – spiega – ha fatto sì che l’uomo abbia messo le mani sul mondo e costruito rapporti strumentali con il prossimo e con la natura secondo la logica dell’usa-e-getta». Allora, se è vero che la «sofferenza dell’uomo e della terra è anche sofferenza del Signore», occorre «avere occhi nuovi per vedere il Creatore nel Creato», cioè riconsiderare i propri stili di vita.

A tirare le fila il direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale sociale e il lavoro, monsignor Fabiano Longoni, per il quale «la famiglia umana è chiamata a restituire quanto ha ricevuto». Tradurre nel quotidiano questa intuizione vuol dire andare oltre l’idea del «sentirsi assediati dagli altri». Serve, quindi, «imparare a guardare il mondo dal punto di vista degli altri»: ecco una via per declinare in concreto l’invito a essere custodi della terra, chiarisce Longoni. E c’è bisogno di «fare verità», ossia affrontare in chiave culturale la conversione ecologica auspicata da Francesco. Un esempio? «Facciamo verità sui migranti che non ci fanno perdere niente ma sono un arricchimento».

da Avvenire, 6 settembre 2015

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