rassegna stampa

I giovani: «La vera rivoluzione? Ascoltarci»

di Marco Iasevoli

Un po’ impressionati dal sedere allo stesso tavolo a fianco a un vescovo, ma per nulla timidi. Il Convegno dei giovani non è altra cosa dal Convegno dei “grandi”. Le loro idee non sono rinchiuse nel recinto dei sogni, e allora vale la pena di spenderle tutte, senza paura, come ha chiesto loro martedì il Papa. E chi con una sfumatura, chi con l’altra, tutti partono dalla stessa considerazione, brutale: ci sono luoghi in cui di Dio non si parla, in cui non “arriva”, dai quali la Chiesa è spesso assente. E sono i luoghi vitali dei giovani: la piazza, la scuola, l’università, quel “non-luogo” assordante che, specie al Sud, è la disoccupazione o la precarietà.

A rompere il ghiaccio è Chiara, 27enne di Genova che lavora nella segreteria di una scuola superiore. «Vorrei si capisse che i giovani non possono essere, per la Chiesa, una categoria sociologica. Spesso hanno storie uniche e travagliate alle spalle, non si può più pensare di presentare proposte impacchettate e uguali per tutti. Dobbiamo camminare dove camminano loro». Francesco, 31enne di Padova e progettista di software, quasi completa il discorso. «Spesso pensiamo di dover prendere le vite dei giovani e orientarle nella direzione che crediamo noi. Invece la vera rivoluzione è imparare ad ascoltare quello che sono, partire dall’umanità che già esprimono, accettarli per quello che sono ». Francesco è rimasto molto colpito anche dal passaggio in cui il Papa invita i giovani a costruire il Paese: «È un’indicazione per i nostri percorsi formativi. Con la compagnia della Chiesa devono imparare a sentirsi parte di questo mondo del quale invece si sentono, spesso, ospiti indesiderati ».

Un altro Francesco, però di Tricarico, 21 anni, la mette così: «Mi piace questa idea per cui i più piccoli stanno avanti, e i più grandi alle spalle. Spesso lo sperimentiamo nella Chiesa, dobbiamo provarci anche fuori, nell’impegno pubblico». E come ambito fondamentale Giulia, 22enne studentessa catanese di Giurisprudenza, individua proprio l’università. «Stare fuori dagli atenei è davvero poco lungimirante. È lì che possiamo sporcarci le mani, come vuole il Papa, con giovani studenti convinti che la Chiesa non sia altro che regole anacronistiche».

Ma c’è anche chi riflette sullo specifico ruolo dei giovani dentro la Chiesa. «Vorremmo più responsabilità», ammette Andrea, 23 anni, di Acireale. Anche se non la dice proprio così, anche se ci sono tante esperienze positive, a volte prevale la sensazione che i giovani siano ben accetti finché c’è da lavorare, molto meno coinvolti quando c’è da pensare e progettare. «Ma sono i giovani i primi evangelizzatori degli altri giovani, ci serve fiducia», riprende Giulia. E qualcosa hanno da dire, le nuove generazioni, anche quando si parla di percorsi di preparazione al matrimonio, come sottolineano Raffaella e Pasquale, giovane coppia di Pompei. O su che cosa significhi, proseguono, cercare Dio mentre intorno è tutto buio, lavoro non se ne vede, opportunità nemmeno.

In diversi sono impegnati nella pastorale giovanile, nelle associazioni, nei gruppi studenteschi, nei movimenti, e portano con sé non solo il vissuto dei loro coetanei, ma anche degli adolescenti di cui spesso si occupano come animatori o catechisti. «È urgente tornare a parlare delle relazioni affettive, educare a stare insieme agli altri, ad accettare il proprio corpo, a rispettare quello degli altri. E non possiamo farlo con il linguaggio del secolo scorso…», chiude il cerchio Chiara.

da Avvenire, 12 novembre 2015

1 Commento a “I giovani: «La vera rivoluzione? Ascoltarci»”

  1. LOREDANA
    il

    Speranza
    Sono loredana siciliana di origine come la mia famiglia religiosa e credente in dio in cui vivo e risiedo per lavoro,nonostante non abbia seguito il convegno su Internet, vedere Papa Francesco passare per le strade di Firenze mi ha fatto gioia anche dal vivo e ciò penso che sarebbe bello far conoscere Gesù maestro e guida in una nuova umanità del nostro tempo e futuro anche in quei giovani che si sono smarriti vittime del gioco anche online, della tossicodipendenza, della sfrenatezza che si trovano negli angoli della strada e nelle periferie delle nostre città attraverso vie
    nuove e quantitative nell’ uso della tecnologia e nella vita quotidiana nella società che viviamo realmente.grazie

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