rassegna stampa

Il cammino di Firenze: dentro la società, seguendo Gesù Cristo. Il sociologo Mauro Magatti

di Umberto Folena

Un prologo domani pomeriggio, con le quattro processioni da altrettante basiliche e l’apertura in Cattedrale. Poi la giornatachiave col Papa, martedì. E mercoledì il Convegno ecclesiale di Firenze può finalmente entrare nel vivo. Lo farà introdotto nel tema – ampio e impegnativo – del «nuovo umanesimo» con la guida del sociologo Mauro Magatti e del teologo Giuseppe Lorizio, chiamati a offrire in poco più di un’ora complessiva le coordinate in cui si dovrà poi svolgere il lavoro dei numerosissimi gruppi nei quali i delegati si suddivideranno sin dalla tarda mattinata, e poi per l’intero pomeriggio e la prima mezza giornata di giovedì. Un giorno e mezzo di confronto aperto, libero e serrato, un tempo ampio e intenso che è forse la novità più evidente nello stile di questo quinto Convegno ecclesiale nazionale. A Magatti e Lorizio è dunque affidata la responsabilità di creare la cornice: «Per un umanesimo della concretezza», alludendo a Chiesa e società italiana, per il sociologo; «La fede in Gesù Cristo genera un nuovo umanesimo» il compito del teologo. Ecco le loro anticipazioni.

Accanto al teologo, il sociologo. Una coppia collaudata, un classico dei convegni ecclesiali. A Firenze, mercoledì mattina, il sociologo (ed economista) sarà Mauro Magatti, comasco, ordinario di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, firma nota anche di Avvenire. Tra i suoi libri più recenti: Prepotenza, impotenza, deponenza (Marcianum Press, 2015), L’infarto dell’economia mondiale (Vita & Pensiero, 2014) e Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, con Chiara Giaccardi, Feltrinelli, 2014).

A chi stava pensando mentre preparava il suo intervento?

All’uomo in ricerca. Ho provato a interpretare alcuni elementi salienti della nostra condizione, comuni al credente e al non credente che si pone domande.

E i convegnisti come se li immagina?

Donne e uomini che pensano e cercano di sperimentare il Vangelo, sentendo l’urgenza di rimettersi in cammino. La storia va avanti e ci chiede un rinnovamento continuo.

Che cosa è ragionevole attendersi da un Convegno ecclesiale? Per lei è la prima partecipazione…

A Verona ero delegato, partecipai a tutta la fase preparatoria ma all’ultimo momento non potei partire, purtroppo. I convegni ecclesiali sono momenti importanti che decennio dopo decennio sono stati occasione di riflessione e comunione. A Firenze mi aspetto un clima bello, di cordialità, amicizia e simpatia. Il clima è il primo contenuto di un simile appuntamento, così come la Chiesa è innanzitutto luogo di incontro e condivisione della fede.

E poi?

Sarebbe importante riuscire a individuare alcuni percorsi, alcune piste concrete sulle quali la comunità ecclesiale possa incamminarsi, alla ricerca del modello di un nuovo umanesimo che al tempo stesso è antico come il Vangelo e davanti a noi e oltre a noi, perché ci precede sempre. Tensione e cammino, insomma. Né risposte né formule, ma piste di lavoro: questo è lecito attendersi da un ‘convenire’.

Quando le hanno chiesto di tenere la relazione, quali inviti o raccomandazioni le hanno rivolto?

Nessuna indicazione particolare. Mi hanno lasciato grande libertà, e lo stesso titolo è mio. Mi hanno chiesto una lettura della situazione contemporanea alla luce del tema generale del Convegno. Ho capito che avrei dovuto evitare nel modo più assoluto la lezione accademica, e che avrebbero desiderato un linguaggio accessibile. Ottimo. Certo non posso ‘tradire’ la mia professione, ma mi sono sforzato di tradurre tutto in parole e immagini riconducibili all’esperienza di ciascuno.

Le vicende che stanno scuotendo il Vaticano avranno qualche ripercussione sui lavori?

Per fortuna il Convegno sarà altro e le notizie passano velocemente. No, non credo che il Convegno sarà condizionato negativamente. Al contrario, quando si buttano le bombe c’è un motivo in più di convinzione e coesione. A partire da me: quanto sta accadendo rende più forte l’urgenza di lavorare per la Chiesa. Poi, in questo momento tempestoso noi ci impegniamo e diamo tutto noi stessi sapendo però di esser dentro un processo che ci supera ed è ‘oltre’ rispetto a noi e ai nostri sforzi: a volte le cose accadono al di là di noi.

E la sua relazione? Può anticipare qualcosa?

È costruita attorno a tre assi: la lettura del nostro tempo; la rilettura di alcuni aspetti del magistero di Francesco che per molti versi trovo in continuità con Benedetto XVI, in particolare là dove Ratzinger denuncia una modernità che restringe i propri orizzonti a scienza e tecnologia, rinunciando a interrogarsi sul senso dell’esistenza, in altre parole sul nesso ragione-fede che Bergoglio declina su un altro piano, ma nella stessa cornice; infine la specificità della storia e della cultura identitaria italiana, per dare risposte alle provocazioni del nostro tempo, a partire dalle sollecitazioni del Papa: risposte che l’autentico cattolicesimo di popolo ha sempre saputo fornire.

Quale complimento, e quale eventuale critica, le piacerebbe ricevere dopo la sua relazione?

Sarei contento se i convegnisti trovassero il mio contributo pertinente con la loro vita e la loro fede. Vorrebbe dire che sarei riuscito nel mio intento. La critica peggiore? Sentirmi dire che il mio è stato un discorso astratto. Ma non credo. Tenere unite assieme analisi e vita è il modo in cui da sempre sono stato educato e svolgo il mio mestiere.

da Avvenire, 8 novembre 2015

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