rassegna stampa

Il Convegno continua a casa. La sesta via? È «costruire»

di Marco Iasevoli

Tra i delegati cresce una sana “inquietudine”, il desiderio di rivedersi presto in diocesi per condividere quanto vissuto e capire come raccontarlo nelle parrocchie. A cominciare dallo studio e dall’approfondimento dell’“Evangelii gaudium”

La domanda con cui i delegati lasciano Firenze è una sola: da dove ripartiamo appena tornati a casa? Le idee abbondano, anche nella consapevolezza che “non si parte da zero”, come ha detto Bagnasco nelle conclusioni. C’è però una certa fretta, una “inquietudine”, un desiderio di rivedersi presto in diocesi per condividere quanto vissuto e capire come raccontarlo nelle parrocchie. «Non disperdiamo le energie che abbiamo ritrovato qui, non lasciamole evaporare nella stanchezza dell’ordinario», spiega Giuseppe Irace, delegato di Napoli, impegnato nel sociale e in politica, coordinatore di uno dei tavoli dell’abitare. «Credo – aggiunge – che dobbiamo subito ragionare su come portare l’Evangelii gaudium parrocchia per parrocchia, penso sia la priorità assoluta».

In effetti da lì si parte. Dalla necessità di non far cadere nel vuoto l’invito di papa Francesco: studiare la sua esortazione apostolica, declinarla nei territori. «Occorre costruire nel concreto gli ospedali da campo, luoghi di incontro con persone in carne e ossa», guarda avanti don Francesco Fiorillo, responsabile della pastorale giovanile di Gaeta e animatore di una realtà nuova e particolare, il monastero di San Magno. «Un luogo dove passano giovani di ogni età e ogni tipo, ragazzi che vogliono studiare, lavorare la terra, pregare, stare da soli. Disintossicarsi dalle paure, parlare e affrontare dipendenze di ogni tipo, anche le più atroci». Si ragiona molto di questo, di uno degli aspetti forse più complessi del post-Firenze: luoghi che affianchino le parrocchie nell’incontro con l’umanità reale. Allo stesso tempo, c’è da mettere in piedi una piattaforma, profetica per contenuti e metodologia. Al convegno ha partecipato anche Johnny Dotti, pedagogista e imprenditore sociale. «Abbiamo un compito importante, immaginare modelli economici che non siano appiattiti sul capitalismo e su quelle leggi del mercato che creano gli scarti, è nostro compito fare una proposta nuova al Paese e a questi territori». E poi, continua Dotti, serve un «laboratorio per i linguaggi». I giovani «non parlano come noi, dobbiamo ascoltarli e sintonizzarci, non basta fare presenza sui social se non si è capito come questi strumenti entrano nell’ordinario delle persone».

Tanti ambiti, tante prospettive di impegno. Con una costante che può apparire paradossale: prendersi il tempo di mettere radici ma senza perdere troppo tempo. E raccontare. «Raccontare con gratitudine quanto vissuto a Firenze perché diventi contagioso per tutti», osserva Giuseppe Notarstefano, palermitano e vicepresidente nazionale degli adulti di Azione cattolica. E sperimentare senza paura, anche quando costa fatica, «questo metodo bellissimo dell’ascolto reciproco». Forse sarà questo il gancio per ripartire, l’idea che si lavora insieme. A qualsiasi costo. «Dopo Firenze abbiamo la grande occasione di vivificare luoghi essenziali per farvi entrare la vita dell’uomo, come i consigli pastorali, le consulte. Bisogna crederci davvero», dice don Alberto Gastaldi, responsabile della pastorale giovanile della Liguria. «Farci prendere veramente dalla voglia di collaborare e tradurre gli impegni in progettualità», riprende Pierpaolo Triani, membro della Giunta preparatoria, anch’egli pedagogista e uno degli animatori della via dell’educare.

Ma Gastaldi va anche oltre, prova ad indicare una pista operativa per fare scelte. «Abbiamo un criterio: è essenziale tutto ciò che serve all’evangelizzazione e alla missione. Vorrà dire che, in coscienza, dovremo tagliare cose pure buone e belle ma che alla lunga si mostrano come totalmente autoreferenziali ». Essenzializzare e «mettere le energie dove conta davvero». Significa verificare quello che a oggi si fa prima di aggiungere nuove attività. Non passa in secondo piano, per il dopo-Firenze, lo stile. «Il sorriso, e non quel sorriso un po’ di plastica e sornione che a volte si vede nei nostri ambienti. Il sorriso di questi volontari che hanno lasciato casa, ci hanno accolti, ci hanno accompagnati», indica la via Gino Sparapano, responsabile delle comunicazioni sociali della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi. La sesta via, la via del dopo-Firenze, è costruire.

da Avvenire, 14 novembre 2015

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