rassegna stampa

Il nuovo umanesimo? In famiglia

di Luciano Moia

Nei giorni in cui l’attenzione è rivolta al Sinodo in corso in Vaticano, la Chiesa italiana riflette sui rapporti familiari a partire dalle cinque parole chiave scelte per l’assemblea ecclesiale nazionale. E scopre la loro efficacia per poter sgretolare stereotipi. Nel nome della persona umana

Nasce in famiglia il nuovo umanesimo. Nasce da coppie capaci di aprirsi reciprocamente al dono della differenza. Da sposi convinti che la crisi dell’alleanza possa essere superata nella verità di una relazione che allontana gli stereotipi e si apre alla fiducia della generazione. Da genitori che mettono da parte le paure, la rabbia, l’angoscia nei confronti del futuro e trovano la forza per trasmettere ai loro figli la capacità di sognare in grande. Da famiglie in cui il legame non è limite ma circolarità d’amore e in cui progetti e delusioni, successi e momenti di crisi, non ledono l’obiettivo di fondo. In questa prospettiva i cinque punti chiave del Convegno ecclesiale (uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare) acquistano corpo e carne, solidità e concretezza. Ne è convinta Susy Zanardo, docente di Filosofia morale all’Università Europea di Roma, che nei giorni scorsi ha aperto l’incontro di riflessione verso Firenze organizzato dall’Ufficio Cei per la pastorale della famiglia su «Differenza sessuale e alleanza di coppia». Una lettura originale la sua, che ha coniugato la traccia dell’appuntamento ecclesiale con altrettanti momenti delle dinamiche familiari. Uscire, per esempio, vuol dire anche alimentare un desiderio di bene che non si chiuda in sé, ma sappia indirizzarsi verso gli altri. «Il bambino fiorisce – ha spiegato l’esperta – se trova il suo posto nel desiderio del padre e della madre e se avverte brillare lo stesso desiderio tra i genitori». E se parliamo di Annunciare non possiamo che fare riferimento alla famiglia, primo luogo per rilanciare la notizia più bella: «Sono amato, posso amare». Ambito privilegiato per «diffondere gioia, trepidazione, energia, slancio». Per quanto riguarda l’Abitare, la famiglia accompagna a una circolarità «tra la dimensione della singolarità appagata (la coppia e i legami familiari) e quella dell’universale incondizionatezza del bene (amicizia per ogni essere umano)». Sull’Educare poi – impegno primario e irrinunciabile di ogni genitore – ci volgiamo «alla totalità del senso custodito in ogni persona». E, infine, il Trasfigurare significa anche valorizzare la differenza per «non rimanere uguali a se stessi, ma rendersi trasparenti al desiderio dell’altro». Ecco perché, ha concluso Zanardo, «la differenza sessuale è il luogo in cui si genera il nuovo umanesimo e diventa riserva di senso in una società che ne ha disperatamente bisogno per non affogare nel mare dell’indifferenziato».

Gli spunti offerti dalla relazione iniziale sono poi serviti per i lavori di gruppo. Teresa Ventimiglia e Giordano Barioni hanno guidato la riflessione sull’Uscire, sottolineando come serva una nuova grammatica per declinare all’esterno il maschile e il femminile, e così «cambiare la nostra realtà quotidiana, astenersi dal giudizio, porre in evidenza il volto dell’altro». Valeria Malcangi e Piergiacomo Oderda, coordinatori del gruppo sull’Annunciare, hanno individuato la necessità di «una bellezza da trasferire», ma anche di «parole da tradursi in opere». Emma Ciccarelli e Pier Marco Trulli, a proposito dell’Abitare, hanno tratteggiato tre parole chiave (‘essere sale’, ‘esserci’, ‘riumanizzare le città’) auspicando «una rinnovata alleanza tra famiglie e consacrati, tra famiglie e territori». Barbara Baffetti e Stefano Rossi, coordinatori del laboratorio sull’Educare, hanno indicato l’urgenza di ritrovare «serenità nei linguaggi e capacità di dialogo tra le varie agenzie educative». Infine il gruppo sul Trasfigurare, coordinato da Piera Di Maria e Antonio Adorno, ha offerto una lettura tra educazione al desiderio e accoglienza delle ferite in chiave relazionale.

da Avvenire, 18 ottobre 2015

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