rassegna stampa

«Il Papa benvenuto a Firenze città del dialogo fra le fedi»

di Andrea Fagioli

Il sindaco Nardella: sarà un’occasione storica. «Per capire la nostra realtà non va trascurato il tratto cristiano che l’attraversa nella cultura come nella società». L’esempio di Giorgio La Pira

Un sindaco nella stanza di un Papa. Il luogo giusto per chiedere al primo cittadino di Firenze come la città vive l’incontro con Francesco che oggi arriva nel capoluogo toscano e con il Convegno ecclesiale nazionale. La stanza è la sala di Clemente VII in Palazzo Vecchio, ovvero lo studio di Dario Nardella e dei suoi predecessori, tra cui anche il sindaco in odore di santità Giorgio La Pira.

Sindaco Nardella, che cosa significa per Firenze la visita di papa Francesco a distanza di quasi trent’anni dalla precedente di Giovanni Paolo II e a cinquanta, l’anno prossimo, da quella di Paolo VI dopo l’alluvione del 1966?

Penso sia un’occasione storica straordinaria per più ragioni. Innanzitutto per il momento che sta vivendo Firenze e l’intera umanità. In secondo luogo per il grande carisma che questo Papa esercita sulle donne e sugli uomini di oggi. Infine, per le opportunità non solo religiose, ma anche etiche e culturali che l’evento in sé può provocare.

La città ovviamente è molto coinvolta nella visita del Papa. A suo giudizio, i fiorentini sono preparati al Convegno ecclesiale nazionale?

Probabilmente non più di tanto perché il Convegno nasce come evento interno al mondo cattolico. Il Papa, al contrario, per l’attenzione che è capace di provocare in tutti indistintamente, diventa protagonista di un evento più globale. In questo senso anche le sue parole saranno indirizzate a credenti e non.

Anche il Comune di Firenze, nella fase di preparazione, ha fatto la sua parte. Non solo per quanto riguarda l’organizzazione, ma anche per quanto riguarda i contenuti…

Siamo partiti dal significato laico e culturale che il Convegno ecclesiale nazionale può rappresentare oltre l’aspetto religioso. Per questo ho voluto invitare la popolazione a prepararsi laicamente, a raccogliere il messaggio etico e morale che può venire dall’evento. Abbiamo realizzato una serie di appuntamenti che hanno coinvolto uomini di Chiesa e laici. Il compito però di un istituzione pubblica non è certo quello di sostituirsi alla Chiesa, ma di arricchire il dialogo e la riflessione nella propria comunità.

La «Traccia» in preparazione al Convegno dice che la dimensione della fede è sempre inscritta nella configurazione delle nostre città. È ovvio che si tratta di una questione che non riguarda direttamente il suo ruolo di amministratore, come lei stesso ha appena detto. Ma a Firenze c’è una cosa particolare: entrando in questo Palazzo da piazza della Signoria si possa sotto il monogramma di Cristo di san Bernardino da Siena e la scritta “Rex re- gum et Dominus dominantium” (Gesù Cristo, Re dei re e Signore dei signori), riconoscendo Cristo come il Signore di Firenze e affermando che i fiorentini sono liberi e non devono rispondere a nessuna autorità umana. Hanno ancora un senso quell’insegna e quella frase?

Hanno un senso in quanto appartengono al nostro passato e dunque alla nostra storia. Credo che la religione abbia una sfera pubblica oltre a quella privata del credente. Non a caso le città si confrontano con grandi questioni legate all’integrazione, al pluralismo religioso, all’educazione nelle quali l’elemento religioso assume una rilevanza ben precisa. Quindi un sindaco di una città come Firenze non può non tener conto del tratto cristiano che l’attraversa nella cultura come nella società.

Giorgio La Pira sosteneva che dalle città si irradiano i valori che costituiscono il tessuto intero della società e della civiltà umana. Il Convegno ecclesiale nazionale ci propone la via dell’“abitare”, che sostanzialmente va nella stessa direzione. Che cosa significa per lei “abitare” una città?

La città rimanda al concetto di comunità, che è un concetto dinamico, in continua evoluzione. Abitare una città significa vivere attivamente nella propria comunità. La dimensione materiale di una città fatta di palazzi, di case, è inscindibile da quella immateriale fatta di relazioni sociali e umane. Questo La Pira lo aveva ben chiaro.

Si è appena concluso qui, nel vicino Salone dei Cinquecento, il Convegno dei sindaci del mondo. Com’è andato e come si collega, se ci può essere un collegamento, al Convegno ecclesiale nazionale?

Il summit dei sindaci non è stato pensato come ouverture del Convegno ecclesiale. Lo abbiamo organizzato nel sessantesimo di quello lapiriano. È stata quindi una coincidenza fortunata. Mi sembra evidente il filo conduttore che lega le riflessioni e gli argomenti trattati con i sindaci di tutto il mondo e i premi Nobel e il messaggio di papa Francesco, che immagino sarà rilanciato in occasione di questa visita a Firenze. Mi riferisco al tema del dialogo interreligioso come strumento di perseguimento della pace e più in generale al ruolo dell’uomo nella costruzione di un mondo migliore. Credo che il nuovo umanesimo sarà tanto più alla nostra portata quanto più ribalterà l’assioma del primo umanesimo che metteva l’uomo al centro di tutto. Oggi è il destino della terra al centro delle preoccupazioni dell’uomo, come ci viene detto attraverso il concetto di ecologia integrale nell’enciclica Laudato si’. In questa sfida vedo straordinarie prospettive per il rilancio della fede cristiana proprio in un periodo in cui tutto ci appare così difficile e negativo.

da Avvenire, 10 novembre 2015

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