rassegna stampa

Il sacerdote: «Bussai alla canonica e venni accolto come Gesù»

di Riccardo Bigi

Don Bledar è stato il primo a portare la propria testimonianza davanti al Papa. Nel 1993 giunse dall’Albania «A 16 anni dormivo sotto un ponte e mangiavo alla Caritas». L’incontro con don Setti che gli aprì casa e lo ospitò per 10 anni, durante i quali ha compiuto un percorso di fede

Non ama raccontare la sua storia, don Bledar: non vuole dare l’impressione di mettersi in mostra. «Mi hanno chiesto di raccontarla davanti al Papa, non potevo non farlo. Ma solo perché credo che sia un modo per far vedere quali effetti sorprendenti possono avere l’accoglienza e la misericordia». E a giudicare dal silenzio commosso con cui le sue parole sono state seguite nel Duomo di Firenze, e dall’applauso caloroso con cui sono state salutate alla fine, evidentemente valeva la pena. Don Bledar Xhuli oggi è parroco di Santa Maria a Campi Bisenzio, nell’arcidiocesi di Firenze. Ma il suo arrivo a Firenze dall’Albania, 22 anni fa, non è stato facile. «A 16 anni – racconta – ho deciso di partire per lavorare in Italia, per cercare un futuro. Con un passaporto falso attraversai l’Adriatico su una nave pensando di trovare un lavoro e una casa, ma presto scoprii che così non era. Il fatto di essere clandestino e minorenne non migliorava la situazione ». Arrivò a Firenze perché un amico gli aveva detto che qui avrebbe potuto mangiare e dormire gratis. «Infatti dormivamo sotto un ponte lungo il Mugnone e mangiavamo alla mensa della Caritas».

Il 2 dicembre 1993, Bledar bussò alla parrocchia di San Gervasio dove doveva ritirare una lettera. «Il prete cominciò a chiedermi chi fossi e cosa facevo. Non mi diede l’elemosina , ma si interessava a me. Quando gli dissi che dormivo sotto il ponte e che avevo sedici anni, non riusciva a crederci. Mi disse di tornare il giorno dopo promettendomi di trovare una soluzione. Il giorno, non avendo trovato niente, mi disse: per me ha bussato Gesù, per cui vieni e stai in casa mia». Quel prete era don Giancarlo Setti: un sacerdote molto amato dai fiorentini come ha dimostrato l’applauso, dal fondo della Cattedrale, con cui il suo nome è stato sottolineato.

Don Setti lo tenne con sé per quasi dieci anni, fino al 2002 quando morì. «Una generosità e accoglienza che mi hanno sconvolto. E mi fece capire una grande verità: ero clandestino, non ero un delinquente». Bledar trovò lavoro (ha fatto anche il benzinaio), riprese gli studi, si iscrisse all’università. «Abitando in una parrocchia – racconta – frequentavo i ragazzi della mia età; la domenica alle 11 tutti sparivano e andavano in chiesa. Ci andai anche io, per non rimanere solo». Alla seconda Messa Bledar si mise in fila per la comunione. «Don Giancarlo me la negò e ci rimasi molto male». Il parroco gli spiegò che se voleva i Sacramenti doveva fare catechismo, e Bledar accettò con gioia. Oggi, da prete, dice: «Come tutti i sacerdoti cerco di servire il Signore e i fratelli nella gioia e nella fatica quotidiana. Nell’affetto, nella vicinanza e nella preghiera di tante persone e famiglie ho incontrato Cristo: ho il cuore pieno di gratitudine ». E ripensando a quello che gli disse 22 anni fa don Giancarlo Setti («Per me ha bussato Gesù»), afferma: «Cristo non era presente in chi bussava, ma in chi ha aperto la porta».

Una storia che ha colpito tutti, compreso papa Francesco che nel suo discorso, parlando dell’insegnamento di Gesù («Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ero straniero e mi avete accolto…») ha voluto aggiungere: «Mi viene in mente quel prete che ha accolto questo giovane prete che ha parlato oggi».

da Avvenire, 11 novembre 2015

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