rassegna stampa

Il teologo Giuseppe Lorizio: dentro la società, seguendo Gesù Cristo

di Umberto Folena

Due relazioni introduttive per un totale complessivo di 70 minuti. Già questo dovrebbe far pensare: saranno relazioni ‘leggere’, di mezz’ora ciascuna o poco più. Quella teologica è affidata a monsignor Giuseppe Lorizio, barba candida, pugliese da tanti anni a Roma, ordinario di Teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense, studioso appassionato del beato Rosmini. Tra i suoi libri più rimarchevoli: Le frontiere dell’amore. Saggi di teologia fondamentale.

Per quale pubblico ha preparato il suo intervento?

Per i delegati di base. Lo so che ci saranno tanti vescovi, presbìteri e qualche teologo, ma contenuti e linguaggio sono calibrati per laici impegnati nella pastorale ma dalla vita ‘normale’. Senza banalizzare, cercherò di stare bene attento a non scivolare nel teologhese o nel cattolichese.

E il senso complessivo delle due relazioni di mercoledì mattina?

Lo spazio più grande l’hanno papa Francesco e il lavoro dei gruppi. Nel mezzo, è stato deciso che era importante ci fosse anche uno spazio per la riflessione.

Che cosa è ragionevole attendersi da un Convegno ecclesiale? Tranne il primo di Roma 40 anni fa, lei non ne ha mancato uno…

C’è del nuovo soprattutto nelle modalità. I delegati non vanno a Firenze né per aggiornarsi né per fare il pieno di conferenze, ma neppure per produrre piani pastorali che spettano ad altri. La grande novità è il corale stile di sinodalità. Sapendo che un simile stile non si improvvisa ma si apprende.

Quando le hanno chiesto di tenere la relazione, quali inviti o raccomandazioni le hanno rivolto?

La prima riguarda il linguaggio e il tono non accademico, ma se si sono rivolti a me è perché immagino mi avessero già letto e sentito parlare. Né pesante né troppo lieve. La traccia è stata discussa nel Comitato. A entrambi, a me e a Magatti, hanno chiesto di declinare il tema generale del Convegno. Ci siamo confrontati più volte, e anche questo è stile sinodale: nessuno ha rinunciato alla propria personalità, ma abbiamo lavorato insieme.

Di quale teologia ha bisogno il Convegno?

Penso alla cultura dell’incontro proposta da Francesco e a una teologia di frontiera che sappia farsi carico dei conflitti.

Le vicende che stanno scuotendo il Vaticano avranno qualche ripercussione sui lavori?

Ci ricorderanno ancor meglio la necessità di recuperare un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni, compreso quello tra credenti e Chiesa come istituzione. Il tema della misericordia e della riconciliazione riguarda le persone ma anche le istituzioni. Non solo il singolo fedele è chiamato a confessarsi e rinnovarsi, ma anche le ‘strutture di peccato’ nella Chiesa. Penso al beato Rosmini e alla quinta piaga, ‘Le servitù dei beni e ecclesiastici’…

E la sua relazione? Può anticipare qualcosa?

Ruoterà attorno a tre parole chiave: alleanza (la nuova umanità che nasce dalla fede è l’umanità della nuova alleanza), misericordia e riconciliazione (non vanno dimenticate le alleanze infrante, tra uomo e natura, maschio e femmina, tra le generazioni…) e presenza (in Italia è necessario un cristianesimo presente nella storia, nella società e nella politica mediante i laici e con il metodo della laicità).

Quale complimento, e quale eventuale critica, le piacerebbe ricevere dopo la sua relazione?

Vorrei che mi dicessero: ci hai aiutato a pensare. Ma se qualcosa nelle mie parole stride con lo stile evangelico, me lo dicano pure.

da Avvenire, 8 novembre 2015

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