rassegna stampa

«La Chiesa vuole offrire all’Italia una nuova direzione di marcia»

di Francesco Ognibene

Insieme al vescovo di Piacenza-Bobbio Gianni Ambrosio, uno dei tre vicepresidenti del Comitato preparatorio, il punto sui temi e le attese dell’assemblea ecclesiale nazionale a tre settimane dal suo inizio. Con lo sguardo ai possibili impegni: «A un Paese con bassa natalità, giovani senza lavoro, corruzione e individualismo il Convegno ecclesiale proporrà speranza e gesti che generano vita nuova»

Tre settimane soltanto mancano al Convegno ecclesiale di Firenze. Nove anni dopo Verona 2006 – il precedente appuntamento nazionale –, e in capo a una preparazione intensa e diffusa in tutte le diocesi italiane, ormai ci siamo davvero. Ma sarà un evento capace di coinvolgere e cambiare la Chiesa italiana? Ne riflettiamo con monsignor Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio, uno dei tre vicepresidenti del Comitato preparatorio.

Si coglie la domanda di un’assemblea non solo viva ma anche determinata ad affrontare con franchezza il rapporto tra la Chiesa e la società italiana. Cosa occorre perché Firenze faccia propria la lezione della ‘parresìa’ del Sinodo sulla famiglia?

Anche il Convegno di Firenze è un incontro ecclesiale, con stile sinodale: occorre prima di tutto invocare lo Spirito Santo per affinare la nostra capacità di ascolto del Signore e di accoglienza di ciò che dicono e vivono i fratelli e le sorelle. Possiamo ripensare insieme la nostra missione per illuminare il cammino di tutti e aiutare a mettere in relazione, in un orizzonte di senso, le molteplici esperienze. La franchezza e il coraggio sono indispensabili. Insieme allo sguardo umile e penetrante, che sa riconoscere i germi di bene che il Signore non smette di suscitare. Il cammino fatto finora è di buon auspicio.

Cosa possiamo attenderci da Firenze?

Possiamo e dobbiamo puntare su impegni e segni concreti. Vi sono buone premesse, mi sembra, sapendo che ogni comunità locale ha particolari esigenze e deve quindi tradurre nella quotidianità ciò che emerge dal Convegno. Non dimentichiamo poi che Papa Francesco sarà con noi fin dall’inizio per stimolarci con le sue parole e con i suoi gesti, e soprattutto con la grazia del suo ministero petrino. Ma non riduciamo la Chiesa a un’azienda. Grazie al con-venire a Firenze, la nostra Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, ha la grazia di diventare più materna, fidandosi di Dio e dei suoi figli, sempre disposta ad accompagnarli e a incoraggiarli: questo è il segno eloquente. Oggi, nella società italiana così carente di fiducia e così scarsamente generativa, la maternità della Chiesa diventa ancor più necessaria, per generare e costruire l’umano.

Diciamo la verità: gran parte della ‘base’ ecclesiale ancora non pare al corrente dell’evento, schiacciato com’è tra Sinodo, Giubileo e viaggi papali. Cosa occorre perché i cattolici ‘di parrocchia’ prendano coscienza che quel che accadrà li riguarda da vicino?

È vero, qualcuno ha suggerito di rinviare ad altra data. Ma è un modo di pensare troppo legato al racconto dei media. Certo, il Convegno risulta schiacciato, poco visibile e poco notiziabile rispetto a Sinodo, Giubileo e viaggi del Papa. Ma può esserci – anzi, deve esserci – un altro sguardo, e cioè una visione ‘sinfonica’ e ‘sinergica’ della Chiesa. Il Convegno si colloca sullo sfondo di ciò che la Chiesa tutta, su sollecitazione di Papa Francesco, è chiamata a vivere e a manifestare per essere oggi il segno vivo dell’amore del Padre. Questa missione – una nuova tappa dell’evangelizzazione che ha al suo centro l’amore misericordioso – interpella la Chiesa italiana, chiamata al discernimento comunitario sul suo annuncio e la sua testi-monianza per essere fermento che fa lievitare e sale che dà sapore.

Tra le categorie che rischiano di restare più ‘periferiche’ sembrano esserci i giovani: eppure proprio su di loro la Chiesa ha molto investito in questi anni in termini di educazione, impegno, aggregazione… Come può Firenze parlare anche a loro?

Il coinvolgimento dei giovani è stato cermisericordioso cato fin dall’inizio. È stata assicurata una maggior presenza di voci giovanili, fresche e vivaci. Ma oggi la partecipazione, direi effervescente, è soprattutto social, connessa alla rete, al Web, a Facebook e Twitter. C’è una buona interazione sui temi del Convegno, anche da parte di chi non frequenta la parrocchia e le aggregazioni. Con un linguaggio meno paludato, gli strumenti della rete, più approcciati dai giovani, offrono opportunità preziose. Nella città di Firenze, con la sua storia e la sua bellezza, e nell’assemblea di una Chiesa che prega, dialoga, si interroga sul volto dell’uomo, i giovani potranno trovare la luce per la loro ricerca di senso e per scoprire il volto del Padre che risplende in Cristo.

È suggestiva – ma va ben spiegata – la scelta di far ‘parlare’ cinque parole dal magistero di Papa Francesco. Nella preparazione al Convegno si sono dimostrate efficaci come ci si attendeva?

I verbi che indicano il cammino della Chiesa verso l’umanità nuova – uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare – sono i verbi della vita umana, della vita buona, aperta, relazionale, generativa. Suggeriti da Papa Francesco, sono l’espressione concreta della missione della Chiesa in questa nostra epoca. L’icona di Gesù nella cosiddetta giornata di Cafarnao esprime il loro significato umano ed evangelico: la Chiesa si lascia ispirare dalle parole e dalle azioni di Gesù che ci indica il cammino e ci introduce nella nuova umanità aperta alla pienezza della vita. Questi verbi sono utili perché spiazzano, rinviano alle periferie e costringono a declinare l’umano dal basso e nella concreta quotidianità. Lo sguardo appassionato verso Dio e i fratelli, l’impegno per la dignità della persona umana, il recupero della interiorità e della relazione, la cura per il bene comune: tutto questo genera fiducia e speranza e favorisce l’emergere di una buona umanità. L’umanesimo in Gesù Cristo non è una teoria o un sistema di idee, ma è incontro, relazione, speranza e fermento verso la novità di vita.

L’umanesimo cristiano è chiamato a confrontarsi con altre visioni della realtà e dell’uomo che si sono affermate e che lo sfidano. Come può offrire oggi una testimonianza capace di attrarre?

Testimone è chi ha visto e udito e ne rende conto, fedelmente e coerentemente. Abbiamo udito, visto, contemplato e toccato: questo annunciamo e testimoniamo. Negli Atti degli Apostoli leggiamo: ‘Li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù’. È questa la testimonianza cristiana che stupisce e risplende. Siamo una società plurale, con più di 150 nazionalità: il confronto con altre visioni è la grande sfida di oggi e di domani. Ma altrettanto serio e urgente è il confronto con quella visione chiusa unicamente sull’uomo e appiattita sull’oggi: si accetta supinamente la logica dello scarto e delle disuguaglianze e, per altro verso, si presume che tutto sia producibile e manipolabile a piacimento. Sono sfide enormi, ma sono anche stimoli e provocazioni perché la fede in Cristo diventi viva e la nostra Chiesa generi forme di vita sensate e innovative, come è avvenuto nel passato con quell’umanesimo concreto e misericordioso, tipico del cattolicesimo italiano che ha saputo confrontarsi con le novità della storia.

Le chiedo di smettere per un momento i panni istituzionali: da semplice delegato, cosa chiede al Convegno ecclesiale?

Mi pongo un interrogativo che è presente in molti delegati: possiamo rassegnarci a vivere così? Sotto la superficialità gaudente, vi è molta sofferenza e molta sfiducia. Ci si chiede quale potrà essere il destino di un Paese con un tasso di natalità fra i più bassi al mondo, con una pesante disoccupazione giovanile, con livelli preoccupanti di corruzione, con un individualismo radicalizzato. Ma è presente anche l’altro interrogativo: possiamo risalire la china? Da Firenze emergerà questa decisa convinzione che attesta la grande responsabilità della Chiesa verso il nostro Paese: non è un’impresa impossibile lavorare insieme e offrire alla nostra società la possibilità di guardare verso l’alto, di cambiare direzione di marcia, di costruire l’umano. La Chiesa, animata e vivificata dallo Spirito, ha parole e gesti che generano vita nuova, anche là dove sembra esserci terra arida.

da Avvenire, 18 ottobre 2015

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