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La giornata di Gesù a Cafarnao

Scheda 1

Presentazione del testo biblico del 5° Convegno Ecclesiale

Dal Vangelo di Marco [1,21-34]

21Giunsero a Cafarnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 25E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». 26E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 28La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

29E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. 31Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

La giornata di Cafarnao

5877_preview(1)Nel primo capitolo del Vangelo secondo Marco viene narrata una giornata trascorsa da Gesù in una città sul lago di Galilea, Cafarnao. Dopo essere stato battezzato nel Giordano e aver superato la prova nel deserto, Gesù ha iniziato ad annunciare il regno, e – chiamati i primi discepoli – ora entra con essi in quella cittadina. Siamo all’interno di quella parte del vangelo che narra il cosiddetto “ministero pubblico”, che si estende fino al racconto della passione. La sezione in cui viene inserita la giornata di Cafàrnao, nel piano narrativo dell’evangelista, ha anche lo scopo, oltre a narrare l’inizio dell’attività di Gesù, di mostrare il progressivo passaggio dal successo al rifiuto della sua persona e del suo messaggio. Anche Gesù in questa parte di vangelo, e durante la giornata di Cafàrnao, compie alcuni passaggi importanti, dovendo attraversare continuamente alcune soglie: da uno spazio pubblico chiuso (la sinagoga) a uno spazio privato chiuso (la casa) a uno spazio privato aperto (la porta davanti alla casa), e poi oltre la città, oltre Cafàrnao. A suo modo, il lettore stesso deve seguire una traiettoria che lo porterà a domandarsi continuamente, in ogni pagina, “chi è Gesù”, la stessa domanda che i presenti nella sinagoga si faranno appena lo udranno insegnare (cf. Mc 1,27). Questo interrogativo rilancia sempre in avanti, e copre tutto l’itinerario del lettore, fino alla conclusione del vangelo.

La cosiddetta “giornata di Cafarnao ” può essere suddivisa in modi differenti. La pagina che descrive il tempo passato da Gesù nella città della Galilea viene normalmente delimitata grazie a indicazioni quali la descrizione suo ingresso in città (1,21) e il sopraggiungere del tramonto del sole (1,34). Ma si può anche estendere lo sguardo fino all’alba del giorno seguente, coi versetti che descrivono la preghiera di Gesù, l’affannosa ricerca di Simone e degli altri, e l’uscita di Gesù dalla città.

Il modo in cui le informazioni sul soggiorno di Gesù a Cafarnao giungono a noi, nel vangelo secondo Marco, è caratterizzato da due elementi significativi: a Cafarnao Pietro è chiamato sempre con il nome di “Simone”, e diversamente dal modo usuale di fare dell’evangelista, questi versetti contengono indicazioni di tempo (1,21: «di sabato»; 1,32: «la sera»; 1,35: «il mattino presto»). Per questa parte del vangelo, Marco doveva disporre di una fonte o testimonianza di prima mano, data da coloro che ancora ricordavano o tramandavano quanto Gesù, in quel giorno così speciale, aveva fatto.

Infine, non è casuale che l’evangelista Marco scriva che Gesù e i discepoli con lui «giunsero a Cafarnao» (1,21), al plurale. Da quando Gesù fa ingresso nella città, non si muoverà più da solo, ma sarà sempre accompagnato dai discepoli: Gesù li chiama, li educa, li ascolta, li rimprovera, li corregge, li perdona. Se solo più avanti ne sceglierà alcuni perché stiano più vicini a lui per annunciare (cf. 3,14-15), già dai primi passi del Messia si vede che non compie un’azione solitaria, da leader isolato. Ha insegnato uno stile che – nel vangelo secondo Matteo – sarà definito dalla parola “Chiesa” (cf. Mt 16,18; 18,17).

La scelta di questa pagina evangelica

L’icona di Gesù a Cafarnao rappresenta un modello per la Chiesa. In essa si vede Gesù vivere tra la quotidianità domestica (quello di un sabato “tipo”) e il mistero (nella preghiera sinagogale e personale), mentre annuncia il regno “da persona a persona”, con parole (insegnando) e gesti di guarigione. Gesù è l’Uomo nuovo, il figlio di Dio, che entra in relazione con gli abitanti della cittadina della Galilea, attraverso l’amicizia, l’aiuto ai bisognosi, i gesti di guarigione per i sofferenti. In questa giornata cresce la domanda su di lui: chi è quest’uomo così diverso dagli altri? Dove conduce il suo insegnamento?

In questa pagina sono narrate quelle azioni di Gesù che rappresentano una traccia per la Chiesa italiana, la quale grazie a quei verbi riscopre in Gesù il nuovo umanesimo: “educare” (l’insegnamento di Gesù in sinagoga), “uscire”, per “annunciare” (come Gesù ha fatto, uscendo dall’edificio sacro ed entrando in una casa e poi, ancora, attraversando la città e la regione), ma per “abitare” un luogo – divenendo partecipe della sua vita – senza mancare di “trasfigurare“ ogni umanità con la preghiera (comunitaria, come quella sinagogale di Gesù, e personale, il mattino seguente).

Nella sinagoga

Entrando in sinagoga Gesù partecipa all’antica liturgia insieme al popolo ebraico. Per Israele la santificazione del sabato – giorno diverso da tutti gli altri giorni – era uno dei modi più importanti per conservare l’identità di popolo “santo”, differente, cioè, dagli altri popoli. Lo Shabbat era già stato interpretato come giorno separato dagli altri sei, perché giorno del riposo (cf. Es 20,8-11) e della liberazione da ogni schiavitù (Dt 5,15). Non stupisce, pertanto, che tanti miracoli di guarigione di Gesù, tra i quali l’esorcismo narrato in questo capitolo del vangelo, abbiano luogo di sabato: l’uomo, proprio in quel giorno, trova il riposo dalla sua sofferenza ed è liberato dal male che lo tiene prigioniero. Gesù non ha abolito il sabato, e non lo ha mai trasgredito: le controversie sullo Shabbat nelle quali si trova coinvolto, soprattutto coi farisei, non riguardavano l’osservanza del giorno in sé, quanto piuttosto le modalità in cui, in termini pratici, questa doveva essere compiuta.

In sinagoga Gesù ascolta la proclamazione delle letture sacre. La prima forma di educazione che Gesù esercita verso i discepoli che lo accompagnano – e verso i corregionali presenti nella sinagoga –, è quella dell’esempio, dato attraverso l’ascolto della Parola e la preghiera. Solo successivamente, proseguendo la lettura del vangelo, si vedrà che Gesù educa attraverso le relazioni, con parole e gesti di misericordia e di guarigione.

Esorcismo nella sinagoga in un affresco dell'undicesimo secolo.

Dopo aver partecipato all’ascolto della Torah e dei Profeti, Gesù inizia ad insegnare. Nel racconto di Marco la prima carità che Gesù esercita, il primo “miracolo” che compie, non è una guarigione o un esorcismo, ma l’insegnamento. L’evangelista Marco infatti presenta Gesù come un maestro, in proporzione, più degli altri vangeli: per cinque volte usa a suo riguardo la parola didachē (“insegnamento”), e per dieci volte lo chiama “maestro”, titolo riferito solo a lui (diversamente, per es., da quanto accade nel vangelo di Matteo). Questo insegnamento colpisce i partecipanti alla liturgia sia perché è dato “con autorità” (Mc 1,22), sia perché “nuovo” (1,27).

La parola di Gesù si distingue da quella degli scribi. Questi non hanno la sua stessa “autorità”: anche se non vengono disprezzati o sminuiti dall’evangelista, Gesù insegna in modo molto diverso rispetto ad essi. La differenza tra lui e gli altri rabbi può essere trovata a più livelli. Il primo è quello dell’autorevolezza con cui Gesù dice le cose. Leggendo i testi della tradizione rabbinica, che sono stati raccolti a partire dalla caduta del secondo Tempio e poi definitamente fissati due secoli dopo, si rimane colpiti dall’attaccamento alle “tradizioni degli antichi” (cf. 7,1-13), tramandate con una lunga catena di detti e di sentenze, ma soprattutto dal modo in cui queste sono elencate una dopo l’altra, come una raccolta di opinioni diverse ma dello stesso valore. La parola di Gesù invece ha un peso più grande: egli si rifà direttamente alla Legge e a Dio, e il suo parere non sembra essere dato come un’opinione tra le tante.

Le parole di Gesù, poi, compiono ciò che dicono. Poiché egli è il “santo di Dio” (1,24), la sua autorità esprime il potere di Dio stesso, e dunque con tali parole può guarire ed esorcizzare. Ecco perché l’annuncio del regno si scontra con i primi ostacoli, rappresentati da forze potenti. Gesù però ha potere anche sugli spiriti impuri, e libera l’uomo da chi lo tiene prigioniero: il primo esorcismo di Gesù diventa esempio di ogni lotta contro il male, che di volta in volta si mostra nelle sue molteplici forme e declinazioni, e che deve essere combattuto dagli uomini di ogni generazione, perché sia vinto infine da Dio.

Dalla sinagoga alla casa

Con la frase «usciti dalla sinagoga» (1,29) i luoghi che sono presi in considerazione dall’evangelista dicono che lo spazio attorno a Gesù tende ad allargarsi sempre di più. Il movimento del racconto conduce dalla sinagoga di Cafarnao alla casa di Simone e Andrea, poi ancora dalla casa a tutta la città, dalla città ai villaggi vicini (1,38); infine, dai villaggi fino a «tutta la Galilea» (1,39). Tutto lo spazio deve essere attraversato da Gesù e dal suo annuncio. I personaggi del racconto sono i discepoli, la suocera di Simone, e soprattutto i malati. Sono questi ora ad impadronirsi della scena e a giungere alla presenza di Gesù: sono, come la suocera di Pietro, già dove Gesù si reca, oppure vengono portati a lui; ancora, lo cercano dove egli sta pregando ancor prima dell’alba. La malattia incornicia il nostro brano: che si tratti di una febbre o di una sofferenza più profonda, spirituale o fisica (come quella causata dagli spiriti del v. 39), il vocabolario del campo semantico dell’infermità costella il racconto ed è presente in modo consistente, includendo tutta la narrazione.

L’uscire di Gesù dalla sinagoga non significa che non vi ritornerà più. Lo stesso vangelo di Marco documenta che egli «entrò di nuovo nella sinagoga» (3,1). Il fatto che Gesù esca da quello spazio “sacro” implica piuttosto che anche tutto il resto dello spazio è degno di essere toccato dalla sua Grazia e dalla sua presenza. Con la frase «andiamocene altrove» – che Marco registra poco più avanti (1,38) – Gesù dice che è venuto non per fermarsi in un solo luogo, ma per “uscire”. Come il Verbo Eterno è uscito dal Padre («da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato»; Gv 8, 42), così il Figlio dell’Uomo deve uscire dagli spazi chiusi, e la sua Chiesa deve essere continuamente “in uscita”.

L’idea che Gesù entri in una casa è molto suggestiva. Nella città di Cafarnao Gesù deve aver avuto un’abitazione dove essere ospitato, e infatti la comunità giudeo cristiana locale ha conservato la memoria di una casa – quella di Pietro – nella quale Gesù sarebbe vissuto e avrebbe compiuto miracoli. Così una testimonianza medievale, ma che molto probabilmente si rifà ad Egeria, pellegrina in Terra Santa negli anni 383-384 d.C.: «In Cafarnao la casa del principe degli apostoli fu trasformata in una chiesa, le cui pareti originali sono ad oggi come erano una volta. Lì il Signore curò il paralitico».

Guarigione del paralitico di Cafarnao (Mosaico della Basilica di S. Apollinare Nuova, VI sec. Ravenna)In una casa il Signore ha vissuto anche la ferialità della vita di tutti. Ha mangiato, si è riposato, ha accolto amici e discepoli. Il lessico domestico nel Nuovo Testamento è estremamente significativo. Non stupisce allora che – come faceva già Gesù – i primi cristiani si ritrovassero in case private, e tali edifici designassero il luogo di riunione di una comunità cristiana, dove aveva luogo il pasto in comune, la preghiera, l’annuncio e l’insegnamento (cf., ad esempio, At 2,46: «spezzando il pane nelle case»). Nel secondo vangelo una casa non è più semplicemente una dimora per la famiglia, ma comincia a diventare il luogo d’incontro per una nuova comunità.

Una comunità attenta ai poveri, come povera a causa della malattia è la donna di cui riferiscono subito a Gesù, la suocera di Pietro. Mentre una donna è la prima persona guarita da Gesù nel vangelo di Marco, nella sua rielaborazione dell’episodio, Matteo, invece, inserirà tale miracolo in una sequenza continuata di gesti di Gesù verso tre categorie particolari della società giudaica del tempo (cf. Mt 8,14-15): anzitutto un lebbroso, poi un pagano, e infine, appunto, una donna (Mt 8,2-17). Tali interventi di Gesù sembrano avere in comune non propriamente il fatto che si tratti di guarigioni (la parola guarigione non appare nel caso della purificazione del lebbroso), quanto piuttosto l’idea della reintegrazione di esclusi. Chi viene soccorso da Gesù è escluso dalla piena partecipazione di Israele, perché impuro come il lebbroso, o pagano come il figlio del centurione. La donna, che nella liturgia del tempio di Gerusalemme doveva restare a distanza, rimanendo confinata in un cortile ad essa destinato, ora può invece prestare un generoso servizio, la diakonia a Gesù e ai suoi discepoli (Mc 1,31), per la quale si caratterizzeranno molte donne nel Nuovo Testamento.

La sera con tutta la città

Il vangelo di Marco è molto preciso nel dire che solo quando è calato il sole, ovvero terminato quello Shabbat, «gli portavano tutti i malati e gli indemoniati» (1,32). Il popolo di Israele viene presentato come fedele alla prescrizione del sabato. Qualche commentatore ha notato che la scena prende più senso se letta tenendo in controluce le tradizioni già dibattute dalle scuole di rabbi Hillel e rabbi Shammai a proposito della celebrazione della Havdalah, ovvero della “separazione” del sabato dal resto degli altri giorni della settimana. Da quel momento, non solo si poteva riprendere a sollevare pesi e trasportare cose, ma una candela apposita veniva accesa nelle case – al comparire delle prime tre stelle della sera – a significare il ritorno alla ferialità: iniziava il “primo giorno” dopo il sabato, che portava per il resto della settimana a vivere l’attesa del settimo.

In questa sera, vengono a Gesù malati e indemoniati. Il tema della malattia ritorna anche al termine della “giornata di Cafarnao”. Nel sommario dei versetti 32-34 vi è un dettaglio che potrebbe segnalare una tensione, data dall’opposizione tra i “tutti” che accorrono a Gesù per essere sanati (vv. 32.33.37) e i “molti” che invece, effettivamente, verranno guariti, secondo quanto si legge al v. 34: «Guarì molti che erano afflitti da varie malattie…». Questa tensione – che non si trova però nelle due altre versioni di Matteo e di Luca (dove Gesù guarisce tutti quelli che vanno da lui; cf. Mt 8,16; Lc 4,40) – sarebbe, a parere di alcuni, effettivamente presente nel testo. Gesù infatti non guarisce meccanicamente, e la guarigione dipende anche dalla disposizione della persona malata. Ma è più importante sottolineare che il rabbi di Galilea, ancor prima di guarire qualcuno, si prende anzitutto e comunque cura di questi, e se non tutti sono guariti, questi rimarranno i “poveri” di cui ora altri si dovranno occupare (cf. Mc 14,7: «I poveri infatti li avete sempre con voi»), e quelli che un giorno, comunque, verranno sanati da Dio. Il verbo che Marco aveva usato appena sopra per dire la guarigione della suocera di Pietro («la sollevò», al v. 31; in greco egeirō) nel Nuovo Testamento non ricorre soltanto nei contesti delle guarigioni (Mc 2,9.11; 5,41; 9,27) ma soprattutto nel racconto della risurrezione di Lazzaro (Gv 12,1.9) e di Cristo (ad esempio: Mc 16,6; At 3,15; Rm 10,9). Come Gesù è stato capace di guarire e sollevare la suocera di Simone, e ora guarisce molti, così sarà capace di dare la vita anche a coloro che non sono ancora guariti.

L’indomani

La giornata di Gesù a Cafarnao termina col riposo nella casa che l’avrà ospitato. Ma il giorno seguente, scrive Marco, Gesù «al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: “Tutti ti cercano!”» (Mc 1,35-37).

La preghiera mattutina sembra essere il modo in cui il Signore riconduce tutto al Padre: quello che ha vissuto nella giornata precedente, quello che lo aspetta nel giorno che si apre. Senza la preghiera, nessun figlio dell’uomo riesce a fare unità nella propria vita.

Resta da comprendere meglio il senso della ricerca di Gesù da parte dei suoi. Il demonio aveva in qualche modo, nella sinagoga, tentato di esercitare un potere su Gesù, dicendo di sapere chi fosse quel rabbi di Galilea («io so»; 1,24); ora è Pietro, insieme agli altri, che tentano di dominarlo. Qualcuno ha infatti notato la forza del verbo “cercare”, e la sfumatura di significato che veicola. La frase «tutti ti cercano», sotto le spoglie innocenti di un’informazione relativa ad “altri” suona in realtà come captativa, e significa “Torna con noi a Cafarnao, per portare a termine le guarigioni iniziate”. Gesù però non si lascia afferrare, ed educa i suoi discepoli ad andare oltre, a non fermarsi, indicando loro altri luoghi, altre periferie. Infatti alla richiesta inopportuna di Simone, Gesù «disse loro: “Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi [alla lettera, «annunci», in greco keryssō] anche là; per questo infatti sono venuto!”. E andò per tutta la Galilea, predicando [keryssō] nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni» (1,28-29).

Il vangelo secondo Marco lascia intendere che – dopo la notte in preghiera – Gesù se ne andò da Cafarnao per un certo tempo, dovendo annunciare il vangelo in altri villaggi della Galilea. Dall’insegnamento, Gesù passa all’annuncio. L’annuncio nel vangelo secondo Marco non è però riservato solo a Gesù. Il secondo vangelo distingue tra i verbi didaskō (“insegnare”) e keryssō (“proclamare”, “annunciare”, “predicare”). Se del primo, come detto, il soggetto è sempre Gesù, l’annuncio era già stato compiuto dal Battista, e sarà poi portato avanti dai discepoli di Gesù e dalla comunità cristiana primitiva, che proclamerà il Vangelo a tutti i popoli.

Dopo Cafarnao

La fama di Gesù si diffonde, ma in Galilea Gesù incontra anche l’ostilità e l’opposizione di alcuni. Sperimenta anche la crisi. Gesù però non si lascia sopraffare da questa, e la accoglie come un ulteriore passo che deve compiere. L’ultima soglia che deve superare, è la più difficile da varcare: non si tratterà più solo del dolore degli altri, ma del rifiuto da parte di molti del popolo al quale era stato inviato, e della propria morte. Da Cafarnao, Gesù partirà – come lascia intendere Matteo (17,24-27) – per un pellegrinaggio a Gerusalemme, quello pasquale, che lo porterà ad annunciare il vangelo attraverso il dono di tutta la sua vita.


Jézus Krisztusban az új emberség
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3 Commenti a “La giornata di Gesù a Cafarnao”

  1. maura
    il

    Ci sono alcune cose che mi colpiscono del brano del Vangelo presentato: Gesù è un camminatore , passa da un luogo all’altro con semplicità. Al centro della sua azione c’è l’uomo di cui diventa compagno, amico, fratello. La sacralità non è nei luoghi o nelle cose, ma sono le persone ad essere sacre uomini e donne ( non in questo tempio ma in spirito e verità. .. non l’uomo per il sabato ma il sabato per l’uomo) perché presenza di Dio. Lui è la Parola vivente, in dialogo continuo con il Padre.
    Ci dice metti al centro della vita la Parola,
    la tavola della condivisione del pane e e della parola, centro della casa, luogo della famiglia stile della comunità cristiana.
    Infine la strada luogo d’incontro per tutti gli uomini . Forse per le nostre comunità basterebbe ripartire da questo stile di vita.
    Ciao Maura.

  2. tiziana
    il

    salve, una domanda, forse la mia è solo distrazione, come mai nella scheda n.1, non ci sono domande…
    parlo della giornata di Gesù a Cafarnao..
    il materiale interessa per un gruppo parrocchiale e ci si chiedeva se era solo una nostra distrazione, oppure la scheda non prevede domande
    scusi il disturbo
    buon lavoro nella Chiesa del Signore…insieme
    tiziana

  3. Redazione Firenze 2015
    il

    La scheda 1 è pensata come introduttiva delle successive e non prevede domande-stimolo.

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