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Uscire

di Duilio Albarello

«Uscire», per la Chiesa, non è anzitutto il risultato di un impegno volontaristico, bensì la risposta ad un invito che proviene da Dio stesso, dalla sua chiamata coinvolgente attraverso Gesù Cristo nello Spirito. L’origine del movimento vitale, da cui scaturiscono gli altri quattro verbi, è appunto lo stupore della fede che nasce dall’ascolto, da parte di ogni credente e della Chiesa nel suo insieme. Si tratta di mettersi in ascolto della Parola di Dio e al contempo delle parole dell’uomo, per trovare le strade di una comunicazione testimoniale capace di raggiungere le persone nella loro situazione effettiva.

Senza dubbio, l’«uscire verso» dovrebbe essere preceduto e accompagnato dall’«uscire da»: ossia, la libertà della testimonianza esige di passare attraverso un’esperienza personale e comunitaria di liberazione, che domanda di abbandonare o almeno di purificare forme convenzionali, strutture irrigidite, comportamenti distonici, facili sicurezze, paure paralizzanti.

D’altra parte, l’uscire non è funzionale, bensì strutturale per l’identità della Chiesa; comporta un discernimento comunitario e non è mai fine a se stesso, poiché è orientato all’incontrare e all’accompagnare, attivando una capacità di simpatia e di empatia profonde con la storia concreta delle persone, nella sua ricchezza e fragilità.

Occorre focalizzare lo sguardo su Gesù, che sempre esce dagli schemi, poiché egli è innamorato dell’uomo. Con la consapevolezza che uscire significa anche esporsi in maniera coraggiosa all’indifferenza, ai conflitti, al rifiuto nei confronti della testimonianza dell’umanesimo in Cristo. In tale senso, la via dell’uscire è portatrice di una provocazione al cambiamento effettivo, che coinvolge tutta la Chiesa in una dinamica di conversione missionaria. Dunque è un verbo che ci mette radicalmente in discussione, e che imprime una salutare inquietudine rispetto all’accomodamento nelle prassi usuali, ma anche spesso usurate.

Occorre non dimenticare che è possibile uscire poiché si ha la sicurezza di una casa, ovvero di un’appartenenza che arricchisce. Tale arricchimento sperimentato esige di essere condiviso, senza fare distinzioni e discriminazioni, come reale servizio alle persone e come concreta solidarietà con il loro desiderio di senso. «La nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore» (Evangelii gaudium, 265).

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Duilio Albarello, docente di teologia fondamentale presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, è referente del gruppo di lavoro sulla via Uscire.

Foto © Romano Siciliani

 

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