rassegna stampa

La sfida della cultura

di Ernesto Diaco

La preparazione all’evento nazionale ha messo al centro l’ascolto dell’esistente per passare davvero dall’idea alla parola e dall’esperienza alla progettazione

Il cammino di preparazione del convegno è fortemente caratterizzato dall’invito a riconoscere e costruire «forme di buona umanità», nella convinzione che il nuovo umanesimo di cui siamo alla ricerca è già presente oggi nella vita cambiata di tante persone. È anche per questo che, fin dall’inizio del percorso, si è chiesto alle diocesi di segnalare le esperienze più significative, giunte poi in gran numero e pubblicate sul sito dell’evento. Individuare le esperienze però è solo il punto di partenza. Ci sono alcuni passi «culturali» che la via di Firenze invita a compiere. E che possono impegnare le comunità cristiane anche nei prossimi mesi, aiutandole a passare dal parlare «del» convegno a parlare «col» convegno.

Amava ripetere don Giovanni Nervo, fondatore e primo presidente della Caritas Italiana, che per umanizzare una società, oltre al livello dei rapporti interpersonali, del lavoro e dalle destinazione delle scelte politiche, è essenziale favorire la maturazione della cultura nelle comunità. Si tratta di un approccio alla cultura – per dirla con papa Francesco nella Laudato si’ – «non solo intesa come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si può escludere nel momento in cui si ripensa la relazione dell’essere umano con l’ambiente».

Il primo passo è quello di conoscere e valutare il contesto culturale, al fine di «cogliere la genesi e la logica delle posizioni in campo e aiutarsi a vicenda a non rimanere disorientati». In questa linea si pongono tutti quei momenti di ascolto, confronto e studio delle sfide che vanno alle radici dell’umano: la dignità trascendente della persona, la reciprocità fra maschile e femminile, la generazione e l’educazione, il rapporto col limite, la fragilità e la morte. A toccare in profondità l’essere stesso dell’uomo sono anche i flussi migratori, la questione ecologica e quella demografica, il modo di guardare all’economia, per superare la mentalità della corruzione e dello scarto, le inedite possibilità offerte dalla tecnologia e dal superamento di antiche barriere, fisiche e non solo.

Un passo ulteriore che il Convegno di Firenze richiede è rendere le esperienze di autentico umanesimo «consapevoli di sé per dialogare col mondo e illuminare il buio dello smarrimento antropologico». È la prospettiva della comunicazione: del passare dall’idea alla parola, dalla scoperta alla condivisione, dall’esperienza al progetto. È quello che invitava a fare, ad esempio, il laboratorio nazionale tenutosi il 13 giugno a Napoli quando univa in un unico slancio il compito di leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore. Da quella giornata è venuto un ulteriore suggerimento: quello di esplorare tutte le «officine dell’umano», compresa l’arte, la musica, i social network, le fiction televisive.

La consapevolezza che chiede il percorso del Convegno va ancor più in profondità: «Uno sguardo grato vede diversamente – scrive la Traccia –, vede anche l’invisibile, perché potenziato dall’amore». L’impegno culturale del credente è esercitare il «di più dello sguardo cristiano» che si alimenta nella preghiera nei sacramenti. È la radice contemplativa del nuovo umanesimo, essenziale per conoscere, valutare e prendere la parola.

da Avvenire, 5 luglio 2015

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