segni dell'umano

La Vocazione di Matteo

di Giuseppe Frangi

Caravaggio, La Vocazione di San Matteo (1599-1600), Roma, San Luigi dei Francesi

Non c’è un altro quadro che abbia saputo immaginare con maggiore verosimiglianza il “come si diventa cristiani”. Il riferimento è alla Vocazione di Matteo dipinto da Caravaggio per la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma nel 1599. Un quadro che abbiamo tutti negli occhi, ma a cui si è aggiunto un altro sguardo: quello di Papa Francesco, che del quadro ha parlato nel corso dell’intervista a padre Antonio Spadaro su Civiltà Cattolica. Papa Bergoglio ha suggerito una specie di zoomata su un particolare preciso della grande tela: «È il gesto di Matteo che mi colpisce: afferra i suoi soldi, come a dire: “no, non me! No, questi soldi sono miei!”. Ecco, questo sono io: “un peccatore al quale il Signore ha rivolto i suoi occhi”. E questo è quel che ho detto quando mi hanno chiesto se accettavo la mia elezione a Pontefice». L’osservazione è precisa e preziosa. Perché se il quadro è dominato compositivamente dal gesto di Cristo che entra da destra nella tela, la vera ripercussione avviene in quell’angolo buio, dove non si intercetta nessuna concitazione, nessun segno da “momento speciale” e ognuno continua a fare quel che stava facendo.

Solo Matteo alza la testa, più stranito che stupito, come per capire se ha capito bene: cioè che quell’uomo sta chiamando proprio lui. Quindi con una mano indica se stesso, ma con l’altra non ha certo mollato la presa sulle monete che sta contando: una moneta, tra l’altro, ce l’ha nel nastro del cappello. Come dice Francesco, ancora afferra i suoi soldi.

Al quadro dedica un cenno anche un libro scritto da un sacerdote romano che era amico personale di Bergoglio, don Giacomo Tantardini. Non a caso la sua la sottolineatura va nella stessa direzione: «Matteo quando Gesù lo chiama non attendeva niente. Nel quadro di san Luigi dei Francesi di Caravaggio, a Roma, questa assoluta gratuità  è messa stupendamente in luce». Che cosa significa questo? Dimostra, scrive Tantardini, «che questo incontro, di per sé, non è premio alla domanda dell’uomo. Questo incontro è pura grazia». Nessuno quanto Caravaggio era mai arrivato a narrare con tanta verosimiglianza l’accadere di questo mistero.

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