rassegna stampa

L’abbraccio che incammina verso luoghi e alleanze

di Chiara Giaccardi

«Il mondo non è comprensibile, ma è abbracciabile». Lo diceva Martin Buber e non si può dargli del tutto torto. Per comprendere si tende a guardare da lontano, perdendo il contatto. Per abbracciare bisogna azzerare le distanze. Per la Chiesa, come per il mondo, è un momento difficile ma anche pieno di ricchezza. E forse guardarla da vicino, anzi da dentro, dischiude una prospettiva un po’ diversa. Cosa vediamo? Che non ci sono due Chiese, una della preghiera e una della carità, come è stato detto ieri a Firenze nelle sintesi dei gruppi di lavoro del quinto Convegno ecclesiale nazionale. E non ci sono neppure la Chiesa degli scandali e la Chiesa della fede vissuta nella quotidianità silenziosa. La Chiesa è una, con le luci e le ombre, le bellezze che dobbiamo saper condividere e le ferite che cerchiamo di curarci a vicenda. Perché siamo esseri umani.

Il Convegno ecclesiale intitolato ‘In Gesù Cristo il nuovo umanesimo’ ha avuto nell’abbraccio accogliente il suo gesto-emblema. Prima nella preparazione, facilitata dall’accoglienza di esperienze, iniziative, riflessioni di tutti – ragazzi e adulti, religiosi e laici, sani e portatori di disabilità – nelle grandi braccia digitali del sito www.firenze2015. it. Luogo, familiare, di condivisione, frequentato da tanti, dove ci si è rodati a quello «stile sinodale» che è stato poi più facile realizzare in presenza, e che bisognerà trovare il modo di continuare, come è stato auspicato da tutti. Ma soprattutto abbracci di carne. Come quello di papa Francesco a Bledar Xhuli, giovane prete di origine albanese arrivato in Italia da irregolare, accolto come un figlio da un sacerdote e toccato da una chiamata alla conversione e poi alla donazione di sé alla Chiesa, passata proprio da lì: il modo migliore di mostrare la bellezza della nostra fede, di ‘difenderla’ in un mondo che va altrove, è accogliere! Ne abbiamo avuto testimonianza limpida. Un abbraccio a delegate e delegati ha poi segnato l’incipit della prima relazione di Mauro Magatti, come anche la chiusura ‘ prospettica’ del cardinal Bagnasco. Tra queste due parentesi accoglienti, tante braccia che si sono incontrate e strette a vicenda.

Una Chiesa che cammina insieme non è un corteo di individui, ma una «carovana solidale » come questo giornale ha ricordato alla vigilia del Convegno fiorentino. Una carovana dove ci si sorregge, ci si prende in braccio, ci si dà la mano. Gesù toccava e si lasciava toccare: il linguaggio dell’incarnazione passa da qui. Il samaritano si china e solleva: è ciò che viene fatto a noi e che è bello poter restituire. Una Chiesa di carne e non di concetti, precetti, ricette è quella che si è incontrata nella splendida cornice, baciata dall’estate di San Martino, di una Firenze meravigliosamente accogliente. Una Firenze che abbiamo conosciuto in percorsi, preparati con cura, attraverso i tanti luoghi della carità, dell’arte, dell’impegno civile che ne tessono l’unicità esemplare. È più facile sentirsi umani in un tale scrigno di bellezza, ma questa grazia l’abbiamo portata con noi, come una memoria grata a cui attingere al bisogno.

L’abbraccio è emblema della concretezza del nostro essere cristiani in cammino, e delle alleanze che vogliamo rigenerare, per usare, ancora, le parole chiave delle due relazioni principali. Sul cammino concreto: il metodo di Firenze è quello che resta, e che ciascuno porta con sé per renderlo lievito nelle rispettive comunità. Un «metodo sinodale» fatto di ascolto, fratellanza, rispetto, reciprocità che non appiattisce le differenze, ma le rende ricchezza: giovani, vescovi, mamme, direttori di testate giornalistiche seduti accanto a scambiare pensieri ed esperienze, per un cammino comune, per leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore. Un ascolto e un linguaggio di cui la Chiesaistituzione ha bisogno.

Alleanze: tra le generazioni prima di tutto. Mai come prima d’ora in un convegno ecclesiale è stata voluta la presenza dei giovani, a Firenze e in remoto via web. E la loro voce è risuonata con chiarezza, con proposte molto concrete attraverso metafore efficaci ( « bruciamo i divani » , « la fede non si vive nella comodità e nella chiusura » ) e richieste esplicite: « dateci le chiavi » , « fidatevi di noi » , « impariamo insieme ad annunciare» in un registro più ricco di linguaggi.

E alleanza tra generi: la presenza delle donne si è sentita. La Chiesa è chiamata, lo ha detto anche papa Francesco, a essere materna, ad accarezzare. L’annuncio o è generativo o non è. Il messaggio del convegno di Firenze è un messaggio di speranza e un abbraccio offerto al mondo. Quel mondo che anche noi siamo, che abbiamo in casa e che si rivela vulnerabile dall’odio, ma ancor più bisognoso di misericordia e affamato di verità e di amore, di bellezza e di pace. Ripartiamo da qui.

da Avvenire, 15 novembre 2015

Lascia un commento

You must be logged in to post a comment.