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L’umanità del prete, testimone della nuova umanità in Cristo, per un nuovo umanesimo

di Giovanni Nigro

Al passo con quello che la Chiesa italiana ci propone in questo anno 2015, nel 5° Convegno Ecclesiale di Firenze, Iniziative Culturali Sacerdotali – che nasce dal comune impegno di sacerdoti della prelatura dell’Opus Dei e di varie diocesi italiane – ha proposto ai seminaristi dei seminari maggiori italiani un convegno su L’umanità del prete, testimone della nuova umanità in Cristo, per un nuovo umanesimo, svoltosi dal 23 al 29 agosto 2015 presso Villa Campitelli, nella diocesi di Frascati. Relatori del seminario sono stati Mons. Stefano Manetti, vescovo di Montepulciano, Mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, don Giulio Maspero, docente presso la Pontifica Università della Santa Croce, Mons. Luigi Renna, rettore del Pontificio Seminario Regionale Pugliese e don Gerardo Albano, rettore del Seminario Metropolitano di Salerno.

La tematica del convegno, inserendosi nella prospettiva più vasta che si svilupperà a Firenze nel prossimo autunno, ha voluto mettere a fuoco l’umanità del prete chiamata ad essere un autentico riflesso dell’umanità nuova inaugurata da Cristo. Nel nostro contesto ecclesiale, questa settimana di studi proposta ai giovani in formazione verso il presbiterato si è rivelata quanto mai preziosa e significativa. La figura del prete oggi non può prescindere dalla realtà in cui inevitabilmente è chiamato a vivere: un contesto globale in cui sono spesso minacciati i valori e le virtù umane, le relazioni autentiche, i rapporti interpersonali indirizzati alla vera promozione della persona in quanto tale. Riprendendo una significativa espressione di San Josemaría Escrivá citata durante il convegno, “per servire gli altri nel nome di Cristo è necessario essere molto umani”. Questo è quello che la Chiesa chiede ai giovani che si preparano al sacerdozio invitandoli con attenzione a costruire la propria spiritualità e la propria preparazione teologica sulle fondamenta di un umanità vera, stabile, redenta dall’incontro totalizzante con l’uomo-nuovo, Cristo.

Essere preti – ha affermato mons. Stefano Manetti – non mortifica nulla dell’umanità di chi è chiamato a questo ministero: l’umanità del prete, attraverso il sacramento dell’ordine presbiterale col quale è stato consacrato, si esprime al massimo delle sue potenzialità. Per mezzo dell’Ordine sacro Dio gli regala, fa risplendere, il dono di un’umanità bella.

Umiltà, fraternità, docilità, castità e fede sono le virtù umane che – a giudizio del relatore – costituiscono i punti cardine della vita del presbitero, che è veramente e pienamente umana nella misura in cui perfeziona i tratti che Dio stesso ha posto nell’essere di ogni uomo come ministro della liturgia cosmica – come ebbe a dire l’allora cardinal Woityla. L’umanità di ogni uomo si trova in Dio e da lui viene donata: pertanto, come ci insegna il Concilio Vaticano II, più l’uomo tende a Dio più scopre la sua umanità: “solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo” (Gaudium et spes, 22). Il sacerdote, come testimone di un umanità bella, è chiamato a riflettere il mistero dell’umanità stessa di Cristo ed il suo progetto d’amore rivolto all’uomo.

Da mons. Semeraro è giunto ai seminaristi l’invito a superare il rischio della «burocratizzazione della pastorale» per generare nuovi stili di incontro e di comunicazione; e a passare – secondo i richiami di Papa Francesco – da una pastorale organizzativa, centrata sui programmi a una pastorale dell’incontro, centrata sulla relazione con le persone. Ciò significa che il prete di oggi è chiamato a promuovere, una vera e propria “transumanza pastorale”, come ha osservato Mons. Semeraro. Fedeli ai pilastri tradizionali della pastorale – liturgia, catechesi, carità – bisognerà fare attenzione ai volti, alle persone a cui tutto questo è indirizzato.

Dunque “la nuova evangelizzazione non deve mirare alla riconquista di spazi nella società ma deve relazionarsi alla persona umana perché in essa si operi una (ri)scoperta dell’inabitazione di Dio”.

Si tratta, in definitiva, di “scoprire uno stile diverso di fare pastorale perché sia conservata (o restituita, in qualche caso) alle nostre azioni ecclesiali la loro intrinseca forza educativa della fede. Non si tratta di andare verso altre cose e di fare cose nuove, ma dirle e compierle noviter.

È in tale contesto che si apre lo spazio per quella forma di pastorale che il relatore ha chiamato “pastorale generativa, ossia una pastorale che genera alla fede avendo a cuore prima di tutto le persone, cercando di raggiungerle nelle dimensioni degli affetti, del lavoro e del riposo, delle fragilità, della tradizione e della cittadinanza”. E, perché possa essere tale, “la «pastorale generativa» ha anzitutto bisogno di essere una «pastorale di relazioni». È solo nell’incontro fra due persone, infatti, ossia nella «relazione», che si può generare! “.

Nella prospettiva dell’essere in relazione non bisogna dimenticare, d’altra parte, l’attenzione che il sacerdote deve anche destinare a se stesso, alla sua formazione permanente, sia umana che spirituale, per poter meglio indirizzarsi all’incontro con Dio e con l’altro. “Eserciti la cura d’anime? – diceva san Carlo Borromeo – non trascurare per questo la cura di te stesso”.

La trasmissione dell’umanesimo cristiano nell’attuale temperie culturale, che vede l’uomo continuamente proteso verso il futuro, evidenzia – secondo il prof. don Giulio Maspero, della Pontificia Università della S. Croce – l’importanza di utilizzare nella pastorale la categoria del racconto didascalico, alla scuola del modo di insegnare di Gesù: il linguaggio delle parabole, che è proteso a raccogliere l’umano per aprirlo alla conoscenza dell’amore del Padre. Partire, cioè, dalla vita della gente, dalle loro concrete realtà esistenziali. L’Incarnazione ci dice che è possibile raccogliere tutte le situazioni umane, perché “il Verbo si è fatto carne”, il Logos le ha fatte tutte sue: qualsiasi cosa accada, il mondo è la casa del Logos.

Di rilievo, infine, i contributi offerti dai due rettori, Mons. Luigi Renna e don Gerardo Albano, ricchi della loro esperienza nel campo della formazione.

In seminario è facile il rischio di comportarsi e vivere “da personaggi invece che da persone” – ha detto don Luigi Renna. E se non si cambia ne verrà fuori una personalità immatura che oscurerà in futuro, nel sacerdote, la grazia del sacramento dell’ordine.

Sponsalità e paternità risultano essere le caratteristiche umane che il presbitero è chiamato a sviluppare, nella consapevolezza che il superlativo di umano è cristiano e che ogni relazione, ogni rapporto con l’altro è mediato dal rapporto riconciliato che ognuno ha con se stesso.

Il prete è innanzitutto uomo di relazioni – ha concluso il Rettore di Salerno citando il Concilio Vaticano II –: col Vescovo, col presbiterio, con i fedeli laici. Pertanto non si dà esperienza vocazionale fuori dalla vita ecclesiale e dall’apertura alla relazione, che diventa inoltre il parametro di giudizio per riconoscere l’autenticità della vocazione.

Gli interventi dei relatori, arricchiti con il contributo di esperienza e di riflessione dei partecipanti, durante i giorni dell’Incontro, si sono intrecciati con con visite guidate a monumenti significativi della storia religiosa e artistica di Roma. Non sono mancati i momenti di fraternità, di scambio e di conoscenza reciproca dei partecipanti: trenta seminaristi, accompagnati da alcuni sacerdoti organizzatori.

La partecipazione all’Udienza generale con Papa Francesco e la celebrazione in San Pietro hanno coronato queste giornate di riflessione e di incontro, in una prospettiva di intensa comunione con il successore di Pietro e con la Chiesa.

Giovanni Nigro
Pontificio Seminario Regionale Pugliese

1 Commento a “L’umanità del prete, testimone della nuova umanità in Cristo, per un nuovo umanesimo”

  1. deprisco Antonio
    il

    La salvezza di dio una volta per tutte realizzata da gesu cristo , e dello spirito santo, resa presente nelle azioni sacre della liturgia della chiesa particolarmente nei sette doni sacramenti

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