rassegna stampa

Nosiglia: famiglia ecologia e giovani pilastri della speranza

di Marco Iasevoli

Nella prolusione dell’arcivescovo di Torino presidente del Comitato preparatorio, il forte richiamo alla necessità di scendere nel vissuto delle persone. E di denunciare «potentati politici ed economicifinanziari che seguono interessi propri e non il bene comune»

Una parola “controcorrente” nel tempo del “politicamente corretto”. Una parola in difesa dell’uomo, che non rinuncia a «denunciare potentati politici ed economo-finanziari che perseguono interessi propri a discapito del bene comune». La Chiesa italiana che si presenta oggi a papa Francesco parte da un contenuto che è al di sopra di tutti gli altri, «niente di ciò che è umano è estraneo alla fede cristiana», e da un obiettivo che viene prima di qualsiasi piano pastorale, «scendere nel vissuto delle persone e delle fatiche e problemi che esse debbono affrontare, per aprire strade nuove al Vangelo». Stare dentro, non tirarsi fuori, incita nella sua prolusione Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e presidente del Comitato preparatorio del Convegno di Firenze. Indica a nome di tutti i 2.200 delegati una strada difficile e tortuosa eppure vitale: quella di una «conversione pastorale e missionaria» per la quale i cristiani e le comunità si mostrano capaci di una testimonianza di coerenza non solo ai valori o ai principi, come si dice, ma al Vangelo che è una buona notizia di gioia, misericordia e speranza. Vogliamo verificare la possibilità di progettare un’umanità nuova». È un lavoro di tessitura, quello di Nosiglia. Nella sua prolusione ci sono i percorsi e le riflessioni di tutte le diocesi italiane, delle regioni ecclesiastiche in cui sono distribuite. Un condensato di emergenze, problemi e segni di speranza. Con un filo rosso che però supera ogni differenza geografica. Un filo rosso con tre pilastri: «La priorità della famiglia, la sfida antropologica e pastorale dei giovani, l’ecologia umana e i poveri». La famiglia, innanzitutto. «Soggetta a tante fatiche e ferite, ma sempre ricca di risorse e potenzialità insostituibili ». La strada è quella «dell’accoglienza compassionevole » e «dell’accompagnanento spirituale e sociale», la sua difesa dalla «colonizzazione culturale e ideologica che privilegia i diritti individuali e la logica del provvisorio». Ovviamente uno stile che trae linfa dal recente Sinodo dei vescovi che tanto ha dibattuto proprio su questi temi. Ma che trae linfa anche dalle caratteristiche specifiche del nostro Paese, dall’Italia “sfiduciata” che invecchia e non inverte la curva demografica, dal-l’Italia dove, snocciola i dati Nosiglia, c’è un 31 per cento di persone che vive del tutto sola. «Che futuro può avere l’Italia se il diritto alla vita, dal primo istante del suo concepimento al suo naturale tramonto, non viene considerato fondamento della società?». E poi i giovani, chiusi in una «apnea di incertezza mai sperimentata dalle generazioni precedenti». È per loro che devono mobilitarsi vecchie e nuove reti, a partire dalla “triade” di sempre, famiglia-scuola-parrocchia, che pure soffrono di una loro crisi legata alla difficoltà di incidere davvero sulla «mentalità e lo stile di vita». Ma con i giovani la sfida principale è un’altra, recuperare come Chiesa “credibilità” accompagnando nel concreto la difficoltà più grande, quella mancanza di lavoro che toglie il futuro e alimenta il disimpegno e dipendenze sempre più preoccupanti come «alcol, azzardo, bullismo, sballo». Ed è proprio in riferimento ai giovani che occorre dipanare, spiega Nosiglia riprendendo la Traccia di preparazione al Convegno, una risposta all’emergenza educativa che passa per «il primato della relazione, il recupero della coscienza e dell’interiorità, il ripensamento dei percorsi pedagogici».

Terzo pilastro, l’ecologia, la cura della ‘casa comune’ che si fa innanzitutto lotta a tutti quei fenomeni che alimentano la «cultura dello scarto» più volte denunciata da Francesco. Una cultura disumana che colpisce i più deboli, «i poveri, i bambini, gli anziani, i senzatetto, i precari, i disoccupati, i disabili, i malati terminali», elenca Nosiglia. E ovviamente gli immigrati, che ricorrono più volte nella prolusione. Ecco i luoghi, le periferie dove devono emergere più forti le profezie del Concilio Vaticano II e dove devono esercitarsi in modo speciale, anche con l’impegno politico, i laici credenti. E detto nella città di Giorgio La Pira, pure citato da Nosiglia, vale doppio.

A fianco alle parole e ai temi che tutti possono comprendere, ci sono quei termini che chi fa più fatica con l’“ecclesialese” stenta a capire. Ma sono importanti, e vanno spiegati. Nosiglia si dilunga sullo «stile sinodale», sul «discernimento». Anzi, la sua prolusione inizia da lì, da un nuovo modo di pensare insieme, agire insieme, credere insieme. «Non siamo qui per predisporre dei piani pastorali, siamo qui per inaugurare uno stile. Già sarebbe un grande risultato se da Firenze la sinodalità divenisse lo stile di ogni comunità ecclesiale» E poi ci sono i passaggi per gli “addetti ai lavori”: il riferimento ai cinque “ambiti” del Convegno ecclesiale di Verona (2006) che ora convergono nelle cinque “vie” di Firenze (uscire, educare, abitare, annunciare, trasfigurare). Ma la sostanza è una, che la Chiesa italiana ha scelto da tempo di non occuparsi di tematiche specifiche sganciate l’una dall’altra, piuttosto di integrarsi nell’umanità presa nella sua interezza e complessità. Un’arte di cui era maestro San Giovanni Crisostomo, che Nosiglia cita proprio a conclusione del suo intervento: «Non ci sarebbero più pagani se ci comportassimo da veri cristiani ». Lo scrosciante applauso che segue queste parole è davvero il punto d’inizio del Convegno.

da Avvenire, 10 novembre 2015

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