rassegna stampa

Pellegrini alla Sindone, segnali di un nuovo umanesimo 

di Marco Bonatti

L’ostensione come tappa ideale di preparazione all’evento di novembre. Mons. Nosiglia: «i giovani e i malati testimoni di un cammino che unisce chiunque vive l’Amore più grande e anche nella sofferenza trova speranza»

Il cammino verso Firenze passa di sicuro, in queste settimane, anche da Torino. Il flusso di persone che risale i Giardini Reali per raggiungere il Duomo e vedere la Sindone non è fatto di ‘gente qualsiasi’: si tratta, in buona maggioranza, di pellegrini provenienti dalle parrocchie e diocesi italiane, membri di associazioni ecclesiali; e famiglie, gruppi giovanili, classi scolastiche. Se si potessero incrociare le ‘appartenenze’ dei pellegrini della Sindone con quelle di chi ha contribuito al cammino verso il Convegno ecclesiale, probabilmente si scoprirebbe una convergenza di persone e di esperienze: perché non si viene a Torino a vedere la Sindone se non ci si porta dentro una ‘voglia di Gesù Cristo’ che va molto oltre le curiosità scientifiche sul Telo e le discussioni, più e meno artificiali, sulla datazione e l’autenticità.

L’ostensione del 2015 sembra indicare con chiarezza che a compiere il pellegrinaggio sono sempre meno i ‘curiosi’ e sempre più i gruppi portatori di una motivazione più precisa, ecclesiale e religiosa. Il ‘mondo cattolico’ più diffuso e capillare, quello di parrocchie, diocesi e scuole, ha confermato la propria presenza; e il panorama ‘cristiano’ si è arricchito col pellegrinaggio di migliaia di ortodossi, che conoscono e venerano la Sindone anche più dei cattolici. Sono immigrati in Italia dall’Europa dell’Est, e pellegrini provenienti direttamente da Polonia, Romania, Armenia, Georgia… A essi si sono aggiunti, quest’anno, alcuni gruppi islamici: e il significato di questi passaggi è profondo, motivato da una ‘volontà di pace’ che unisce nel rifiuto comune della violenza e del terrore. Non poche sono anche le persone e personalità laiche o non credenti che percorrono lo stesso cammino dei pellegrini verso la Sindone perché vedono riflesse in quel corpo ingiustamente piagato e quel volto sofferente ma sereno tutte quelle violazioni della dignità della persona umana soggetta a violenze, soprusi e persino la morte a causa di chi considera suo nemico ogni persona di una religione diversa, di una etnia diversa o vive valori etici diversi dai propri. «Queste presenze composite costituiscono altrettanti segnali, germi di quel ‘nuovo umanesimo’ che andiamo cercando e costruendo». Monsignor Cesare Nosiglia più di ogni altro ha titolo per parlare di Sindone (ne è il Custode) e di Firenze, come presidente del Comitato preparatorio del Convegno. Il ‘panorama’ di chi viene alla Sindone costituisce anche, direttamente, lo scenario su cui si muove il percorso del Convegno: non c’è, nell’andare verso il Telo, nessun ‘monopolio’ della Chiesa cattolica romana ma l’ostensione, per come è stata voluta e preparata, ritrova invece una disponibilità completa a compiere l’esperienza del ‘camminare insieme’, rispettando le reciproche diversità, e anzi offrendo un’occasione per ‘riconoscersi’.

«Il segno della Sindone – dice ancora l’arcivescovo di Torino – è talmente forte da metterci in condizione di superare divisioni e pregiudizi, se appena siamo capaci di ‘liberarci’ dagli schemi.

In questi giorni abbiamo accolto in Duomo alcuni senza fissa dimora di Roma, cui papa Francesco ha voluto pagare il viaggio, e altri che vivono a Torino, e che conosciamo tramite il coordinamento Caritas. Il loro venire alla Sindone, in mezzo agli altri pellegrini, credo sia un modo per sottolineare che c’è una comune dignità di ogni persona, dignità che cominciamo a ritrovare proprio partendo dall’immagine dell’Uomo dei dolori, da quella sofferenza infinita che però per noi è la stessa via della Pasqua». Questo superare le divisioni sarà sottolineato anche dal Papa, nella sua visita del 21 e 22 giugno a Torino: per la prima volta il vescovo di Roma viene accolto nel Tempio dei Valdesi.

Nella Sindone l’umanesimo da costruire comincia dalla concretezza della persona; dal corpo, segnato sì dalla morte, ma chiaramente connotato dall’attesa della risurrezione. Dice monsignor Nosiglia: «Ai giovani e ai malati, voluti come protagonisti dell’ostensione 2015, viene chiesto di essere testimoni di questo cammino, di questa ‘dialettica’ che lega insieme chiunque vive l’Amore più grande che sa dare vita a chi non ha vita e persino nella sofferenza trova una vita che apre alla speranza».

da Avvenire, 7 giugno 2015
Foto ANSA

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