letture sull'umano

Quel che resta dell’uomo. È davvero possibile un nuovo umanesimo?

di Luigi Alici

A partire da un saggio di Giuseppe Savagnone

«Ogni uomo – scrive Kierkegaad ne La malattia mortale – è una sintesi di corpo e anima, destinata ad essere spirito, questa è la casa; ma l’uomo preferisce stare in cantina, cioè nella determinazione della sensualità. E non solo preferisce stare in cantina, ma l’ama fino al punto da montare sulle furie se uno gli vuol proporre di occupare il piano di sopra ch’è vuoto e a sua disposizione perché la casa in cui abita è sua».

Questo testo rappresenta in modo efficace uno degli aspetti della crisi dell’umanesimo moderno. L’umanesimo è come una casa: può essere uno splendido edificio, alto e slanciato, eppure i suoi abitanti (meglio il plurale, in questo caso, del singolare di Kierkegaard) preferiscono abitare in cantina. Non è difficile riconoscere che oggi la crisi dell’umanesimo contemporaneo è molto più grave: quell’edificio è diroccato, il superattico è crollato e ha riempito di macerie persino la cantina. Un posto ormai desolato e invivibile. I suoi abitanti sono diventati nomadi: diffidano non solo della cantina, ma persino dell’idea stessa di una casa comune, solida, abitabile e ospitale. Sotto molti aspetti hanno persino ragione: ci sono stati molte promesse, negli ultimi secoli, di un uomo nuovo, per il quale si doveva costruire un nuovo edificio, che alla fine si è ridotto a una prigione, per di più delle peggiori. Capita allora che l’uomo, nomade e spaesato, diffidi dell’umanesimo, soprattutto quando non siamo più in grado di convenire sui fondamentali dell’umano. L’umanesimo è infatti un orizzonte culturale, frutto di una elaborazione condivisa dell’umano, in cui convergono un’articolazione fondamentale del senso della vita, un modello di convivenza civile e un progetto di futuro.

Dal 9 al 13 novembre 2015 si celebrerà a Firenze il 5° Convegno ecclesiale nazionale sul tema In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Il tema è impegnativo, la costruzione del titolo lo conferma. La Traccia si presenta come un “testo aperto per la riflessione”, caratterizzato da una esplicita impostazione pastorale. Ma è difficile evocare alcune parole senza farsi carico dei problemi giganteschi – in senso storico prima ancora che culturale – che esse evocano. La crisi dell’umanesimo oggi si è radicalizzata ed è diventata crisi dell’umano: non è facile costruire un nuovo edificio (anzi il nuovo edificio) se l’habitat è dissestato. In tal caso, «è inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti!», per usare le parole di papa Francesco, nella sua intervista a Civiltà Cattolica.

Molti dei nodi culturali che si addensano nella nozione di umanesimo sono riassunti ed analizzati in modo chiaro, rigoroso e soprattutto in uno spirito di dialogo critico, dal bel libro di Giuseppe Savagnone, Quel che resta dell’uomo, che già nel sottotitolo (È davvero possibile un nuovo umanesimo?) invita saggiamente ad evitare i pericoli della ingenuità e della retorica, misurandosi con gli «innumerevoli problemi» posti dal tema dell’umanesimo oggi.

«Il rischio – scrive Savagnone – è che invece di affrontarli e di cercare una risposta a partire dagli interrogativi posti dalla cultura del nostro tempo, li si sorvoli disinvoltamente, dandone per scontata la soluzione. Se questo accadesse . continua l’autore – la formula “nuovo umanesimo” diventerebbe ostaggio di una certa pratica pastorale che alimenta la superficialità e la pigrizia mentale della maggior parte dei fedeli, avallando tacitamente il loro disimpegno culturale ed esonerandoli, ancora una volta dallo sforzo, di superare l’abisso che attualmente separa, su molte questioni, il mondo contemporaneo dal Vangelo» (p. 5).

Dobbiamo dunque porci alcune domande, che Savagnone orienta attorno a cinque “tensioni fondamentali”, che mi limito a ricordare sommariamente:

• Umanesimo vs ecologismo e animalismo? 
Il concetto di umanesimo deve oggi misurarsi con la sfida dell’ecologismo e dell’animalismo, che colpisce al cuore la tesi dell’unicità e superiorità dell’essere umano, culminante nell’idea di persona. È possibile valorizzare l’uomo in dialogo con tali istanze?

• Natura umana vs tecnica? 
Siamo ancora in grado, oggi, di condividere il concetto di “natura umana” come essenza immodificabile, di fronte all’avanzare della tecnica che sta mettendo in crisi il senso stesso di una differenza tra “naturale” e “artificiale”?

• Individuo vs relazione agli altri? 
Come (ri)conciliare individuo e relazione? L’autonoma sussistenza dell’essere umano avalla necessariamente un individualismo esasperato oggi dominante, oppure può armonizzarsi con il principale della sua costitutiva relazionalità ed estroversione?

• Identità fondata sul sesso biologico vs orientamento sessuale?
La sessualità concorre a determinare naturalmente l’identità personale, oppure è una sovrastruttura storica e culturale, affermatasi con intenti discriminatori e impositivi, che va smantellata nelle fondamenta, fino a sancire il diritto soggettivo a stabilire il proprio orientamento sessuale?

• Umanesimo vs post-umanesimo?
Infine, ha ancora senso parlare di uomo e umanesimo nell’epoca del postumanesimo? Siamo veramente di fronte a una identità irrinunciabile, oppure abbiamo a che fare con un concetto ormai culturalmente datato, per il quale ci sarà una fine prossima così come c’è stata un’origine?

Questioni davvero enormi, che tuttavia il cristiano non può eludere. Savagnone è convinto – e personalmente sono in piena sintonia con il suo approccio – che il contributo decisivo del Vangelo al tema dell’umanesimo deve impegnarci a rimettere in discussione tale concetto in profondità, in modo radicale e cordiale, entrando in dialogo vero con le sfide dell’antiumanesimo contemporaneo, dietro le quali – a volte – si nasconde la nostalgia di una vera casa, oltre i bugigattoli maleodoranti e irrespirabili in cui siamo finiti, dopo l’epoca delle false promesse. Senza dimenticare, ci ricorda infine Savagnone, che l’umanesimo cristiano deve proporsi di rendere l’essere umano «sempre più pienamente immagine del Dio che ha voluto farsi carne perché nel suo volto umano l’uomo potesse riconoscere il proprio volto divino» (p. 176).

1 Commento a “Quel che resta dell’uomo. È davvero possibile un nuovo umanesimo?”

  1. Alessandro Gratton
    il

    Il commento finale, che mi trova pienamente d’accordo, mi suggerisce di provare ad invertire il celebre slogan di San Giovanni Paolo II: da “spalancate le porte a Cristo” (rivolto a chi sta fuori e che invitiamo ad accoglierci), a “spalanchiamo le porte di Cristo”, nel senso di lasciare che il mondo esterno entri dentro e non restiamo barricati nel nostro cenacolo per paura che qualche nostra certezza possa essere messa in crisi. La Fede ci dovrebbe rassicurare sulla forza dello Spirito che ci permetterà di capire la vera risposta evangelica alle sfide che ci spaventano.

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