Qualità dell’abitare
di Giancarlo Rovati
È connaturato all’esperienza dell’abitare il fatto di stare in un luogo e avere relazioni con quel che ci circonda, a cominciare da quel che ci è più prossimo e influisce direttamente sulle condizioni di vita in cui siamo o a cui aspiriamo. Questa esperienza è immediata e inevitabile per chi vive in luoghi affollati, a contatto diretto con altri vicini di casa, come è tipico dell’abitare in città grandi o piccole (Fig. 1), ma non è estranea anche a chi vive in luoghi isolati e solitari, dove prevale il rapporto con l’ambiente naturale, piuttosto che con l’ambiente umano e sociale (Fig. 2).
Abitare “da soli” è purtroppo una condizione che affligge una grande moltitudine di persone anche nelle affollate città metropolitane, dove aumentano le persone anziane con limitata autosufficienza e relazioni sociali ridotte e difficoltose (Fig. 3). È in queste circostanze che emerge, in modo evidente, il bisogno di abitare “insieme”, attraverso condizioni urbanistiche, abitative e sociali che favoriscano la convivenza, la socialità, le relazioni di aiuto (Fig. 4). L’edificazione di questo modo di abitare necessita non soltanto di mezzi economici e tecnici, ma primariamente di orientamenti di valore adeguati e, in concreto, di una adeguata educazione.
Un contributo determinante all’abitare “insieme” proviene, in modo capillare, spontaneo, sorgivo dall’esperienza familiare, ovvero dalla convivenza di più persone in funzione del benessere di ciascuno, in virtù del legame affettivo e del senso di responsabilità che nella maggior parte dei casi la animano e la sorreggono (Fig. 5). Di questa “scuola di vita” beneficiano non soltanto i componenti della singola famiglia, ma l’insieme delle famiglie che abitano nello stesso luogo e dunque l’intera comunità che su di esse si regge. A molte famiglie – educate alla solidarietà e alla condivisione – va il merito di saper generare forme allargate di accoglienza, che necessitano di abitazioni sufficientemente ampie, e che danno spesso origine a modelli abitativi innovativi, capaci di coniugare l’autonomia dei singoli con la condivisione comunitaria di alcuni spazi e luoghi (Fig. 6).
In un mondo contrassegnato da una sempre più intensa mobilità territoriale per lavoro, studio, turismo (Fig, 7), migrazioni forzate (Fig. 8), abitare in modo stabile rappresenta per molti una meta piuttosto che un dato acquisito. Questa mobilità apre nuove sfide alla nostra capacità individuale e collettiva di gestire la precarietà, di incontrare le diversità, di realizzare nuove forme di integrazione sociale; genera in ogni caso situazioni ambivalenti perché può alimentare la diffidenza, l’estraneità, l’incertezza esistenziale e nello stesso tempo produrre inedite occasioni di incontro da cui possono nascere identità più aperte e inclusive.
Il nostro modo di abitare sta in rapporto vitale anche con l’ambiente naturale: la terra, l’acqua, l’aria, le piante, gli animali da cui ricaviamo cibo, energia, salute (Fig. 9). Dall’uso e dalla cura di questi beni (Fig. 10) dipende il benessere per chi vive oggi e per chi verrà dopo di noi. Siamo dunque chiamati a custodire in modo più giusto, lungimirante, sostenibile tutto quello che abbiamo ricevuto, abbandonando ogni approccio egoistico, miope, predatorio.
Attorno al bisogno elementare di avere un rifugio e una dimora si è sviluppata, in tutte le epoche e le latitudini, una grande creatività espressiva, che ha consentito di promuovere, nello stesso tempo, bellezza e benessere. All’abitare si legano molte delle opere artistiche che abbelliscono ed arricchiscono le nostre città (Fig. 11), ed è ancora al desiderio ed al piacere di abitare in luoghi sempre più confortevoli, che si devono molte innovazioni tecnologiche e molte soluzioni avveniristiche (Fig. 12).
Queste mirabili capacità inventive e costruttive rendono ancor più paradossale, drammatica, insostenibile l’esistenza in ogni grande città di quartieri altamente degradati, sotto il profilo urbanistico-abitativo (Fig. 13). La pessima qualità di queste abitazioni contribuisce ad abbassare l’autostima di chi ci vive, crea rassegnazione e rabbia, favorisce il degrado delle relazioni umane e sociali, alimenta un circolo vizioso sempre più difficile da interrompere (alloggi fatiscenti, residenti con gravi difficoltà economiche e sociali, fuga di chi ha più capacità). È in questi luoghi che vivono peraltro moltissime persone anziane e sole, particolarmente bisognose di reti di aiuto che le relazioni familiari e di vicinato non sanno dare. Nella loro drammatica realtà, le periferie degradate sono luoghi simbolici della cultura dell’indifferenza e dello scarto che contagia larga parte delle nostre società contemporanee.
La qualità dell’abitare ha un influsso diretto sulla qualità della vita e in molti luoghi deve essere decisamente migliorata destinando maggiori risorse materiali a favore di chi vive nell’indigenza, potenziando le reti sociali orientate alla condivisione e alla solidarietà, promuovendo un rapporto virtuoso e sostenibile con le risorse ambientali, vicine e lontane.
Giancarlo Rovati
Professore ordinario di Sociologia generale
Università Cattolica del Sacro Cuore