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Quando la preghiera diventa parola vivente

dal Movimento Cursillos dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie

Il Movimento diocesano dei Cursillos di Cristianità (MCC) dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie ha promosso lo scorso 2 giugno una giornata di riflessione e di fraternità, dal Titolo “Quando la preghiera diventa parola vivente”.

L’iniziativa, che ha coinvolto tutta la Diocesi ed era aperta anche ai lontani dalla Chiesa, voleva essere un modo semplice ed interattivo per crescere in un nuovo umanesimo concreto e riuscito, che fa del Vangelo non solo un argomento di annuncio, ma uno stile di vita per divenire sempre più una Chiesa capace di ascoltare il mondo, una Chiesa che sa uscire nelle periferie e non sta a pettinare l’unica pecorella rimasta. Una Chiesa che nella pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Una Chiesa che non cede al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele e nella consapevolezza che anche se le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; anche se la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. …Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché sempre è Lui che agisce. Tutto ciò ha fatto giungere ad un’altra presa di coscienza e cioè che dobbiamo vivere il dinamismo dei cinque pani e due pesci evangelici, che, messi a contatto con la bontà del Padre, in mani callose sono diventati fecondi e che una grazia prepara un’altra ed infine che Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza (cfr. Papa Francesco, Discorso all’Episcopato Brasiliano, Arcivescovado di Rio de Janeiro, sabato 27 luglio 2013).

Il tema della giornata è stato uno spazio di riflessione avendo come filo rosso le 5 vie verso l’umanità nuova individuate e delineate nella traccia verso il V convegno ecclesiale della Chiesa Italiana a Firenze (9-13 novembre 2015): “uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare”.

A riguardo, interessante è stata la lettura che ha fornito la prof.ssa Antonella Loffredo, Coordinatrice diocesana del MCC declinato i cinque verbi sul tema della preghiera ed evidenziando che “la vera arte della preghiera è la conversazione con Dio. Inserendo Dio in ogni aspetto della nostra vita, la nostra diventa preghiera continua. Dialogare con Dio è pregare. E quanto più, in autenticità, si apre questo stupefacente dialogo tra l’anima e il suo Creatore, tanto più ci si innamora e si trae forza, coraggio e speranza per superare con dignità le vicissitudini della vita. Succede che a volte, nonostante le nostre continue preghiere, ci sembra di non ricevere alcuna risposta. Ma non è mai così. È necessario anche mettersi all’ascolto nel silenzio abbattendo il muro del dubbio ed entrando nella consapevolezza, che prima o poi, la risposta arriverà”. (Qui il testo integrale)

La preghiera, poi è stato fatto notare in modo chiaro, è alla base della nuova tappa evangelizzatrice richiesta alla Chiesa. La Coordinatrice ha anche constatato come “essere fautori di quella che chiamiamo “nuova evangelizzazione” richieda una forte dose di coraggio nel portare ventate di novità, rischiando di prima persona giudizi affrettati da parte di certi conservatori, che arroccati nelle loro vedute ormai in disuso, frenano lo slancio dello Spirito e ostacolano il risveglio delle coscienze assopite”.

Dopo la presentazione sulla preghiera si è iniziato ad illustrarla alla luce dei cinque verbi dichiarando che:

  1. La preghiera che si fa parola vivente, dona la forza di uscire e ci fa essere dei cristiani ed evangelizzatori che non si chiudono nei loro recinti, ma si mettono in cammino verso gli altri e il mondo divenendo cosi una Chiesa in uscita, che sia «in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio» (Papa Francesco, Discorso all’Episcopato Brasiliano, sabato 27 luglio 2013, Arcivescovado di Rio de Janeiro).
  1. La preghiera che si fa parola vivente, si fa capace di annunciare “la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso di perde, che ha bisogno di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuove vigore al cammino” (EG, 114). La preghiera, cosi intesa, diviene il luogo dell’annuncio esplicito e visibile di un’umanità che, “uscendo alla scoperto”, offre la testimonianza della presenza e della missione del Maestro (cfr. SC, 7).
  1. La preghiera che si fa parola vivente, aiuta ad abitare il tempo e lo spazio con quello “spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova” (EG, 264). La via dell’abitare, se vissuta in pienezza, quindi, ci aiuta a vivere la scelta di una condivisione non come episodica o di facciata, ma come una vera adesione alla serie dei problemi sul tappeto con l’impegno a porvi rimedio per essere cristiani che camminano con la gente. La via dell’abitare è stato rilevato, citando la traccia di Firenze, ci porta, dunque, a vivere una sfida che è quella di “…essere una Chiesa di popolo nelle trasformazioni demografiche, sociali e culturali che il Paese attraversa (con la fatica a generare e a educare i figli; con un’immigrazione massiva che produce importanti metamorfosi al tessuto sociale; con una trasformazione degli stili di vita che ci allontana dalla condivisione con i poveri e indebolisce i legami sociali). L’impegno non consiste principalmente nel moltiplicare azioni o programmi di promozione e assistenza; lo Spirito non accende un eccesso di attivismo, ma un’attenzione rivolta al fratello, «considerandolo come un’unica cosa con se stesso» (….) La questione dunque, va affrontata “…non aggiungendo qualche gesto di attenzione, ma ripensando insieme, se occorre, i nostri stessi modelli dell’abitare, del trascorrere il tempo libero, del festeggiare, del condividere”.
  1. La preghiera che si fa parola vivente se ben compresa e vissuta può divenire una palestra e una scuola per essere educati alla vita buona del Vangelo di generazione in generazione. Più volte nella Scrittura, è stato sottolineato, ricorre l’immagine del tramandare di padre in figlio ciò che la Sapienza divina ha posto nel cuore dell’uomo, quasi che il crescere del figlio trovi la sua sorgente nel dono che il padre gli porge e che egli stesso, a sua volta, ridonerà. Così è nell’educazione. Il bene “tirato fuori” va condiviso perché anche le generazioni future sappiano esprimere bene, il bello che le abita. Si è concluso dicendo che la via dell’educare ci induce a ritrovare la strada maestra di concentrarsi sulla formazione delle persone e delle coscienze prima e al di là di altri pur necessari investimenti. La qualità viene sempre prima della quantità e soltanto un’educazione che insegni a pensare criticamente ed offra un percorso di maturazione nei valori abilita ad un esercizio della libertà che resta la meta della vita umana, anche se spesso contraddetta da sempre nuove e sofisticate contraffazioni. Sul tema della libertà significativo è stata la lettura della seguente storia: Per amore di una farfalla si può fare l’errore di provare compassione aiutandola a uscire dal suo bozzolo di crisalide, ma lei in seguito non potrà volare. Questo non è amore. Per volare, una farfalla deve sviluppare nelle ali quella forza che solo lo sforzo di uscire dal bozzolo può generare. L’amore sta nel sostenere lo sforzo durante la sua crescita e poi lasciarla volare via, libera.
  1. La preghiera che si fa parola vivente se vissuta consapevolezza ci trasfigura la nostra esistenza poiché, è stato evidenziato citando don Tonino Bello, ci aiuta ad “essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione”. La via del trasfigurare, insomma, ci svela una maniera di guardare alle cose che non è prigioniero dei dati di fatto e si lascia ispirare da un’altra percezione che fa vedere oltre le apparenze. Corollario di questa possibilità è un diverso rapporto con il tempo che va sottratto alla presa totalitaria del fare e va ricondotto nell’alveo del contemplare, non senza momenti di pausa e di interruzione del meccanismo della produzione che ci rende poi dei semplici consumatori a nostra volta. Da questo punto di vista la domenica appare come una battaglia di civiltà prima ancora che di spiritualità perché restituisce l’uomo alla sua nativa capacità di vivere per vivere e non semplicemente per lavorare.

Fulcro della giornata di fraternità è stato, anche, la proiezione di un cortometraggio, tratto da un film che si intitola “Lettera a Dio” che ha creato un’atmosfera di introspezione e commozione, subito dopo la spiegazione del video, tutti i presenti sono stati invitati a scrivere una lettera confidenziale a Dio, così come da bambini spesso abbiamo fatto, certi che le nostre letterine sarebbero arrivate laddove erano indirizzate. Tutti sono stati entusiasti di ritrovare in loro quel bambino dimenticato, di rievocare quell’innocenza perduta, quell’autenticità vera, quell’abbandono fiducioso di un tempo. Dopo aver messo le lettere in un cesto, alla rinfusa, liberamente chi voleva era invitato ad alzarsi, prenderne una a caso e leggerla.

È stato bellissimo constatare che quando un’anima è stimolata a far emergere la bellezza interiore, senza temere nessun giudizio, quando si invita con dolcezza a lasciarsi andare e a togliersi le maschere di convenienza che spesso indossiamo per nascondere chi siamo, fuoriesce da ogni creatura il riflesso di Dio. Si è aperto un dibattito, un confronto e un dialogo schietto e sincero, come se i presenti si conoscessero da sempre e al centro di tutto questo c’era Lui, Dio al centro di ogni nostro dire.

Il tempo è volato, giungendo poi al pranzato scambiandoci tutto, viveri, sorrisi ed abbracci, terminando la giornata con la celebrazione della Santa Messa.

La giornata di riflessione e fraternità ha aiutati i partecipanti a prendere coscienza di due consapevolezze. La prima è stata l’importanza di promuovere con più frequenza, nel villaggio globale ripieno di “ismi”, giornate di questo genere per far nascere sempre più una cultura dell’incontro e non dello scontro, dell’indifferenza o delle chiacchiere, che tanto male fanno alla Chiesa (cfr. Papa Francesco, Udienza generale, 25.09.2013); e la bellezza di «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale… imparare a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori… scoprire Dio in ogni essere umano…» (Evangelii gaudium, 87-89; 91-92). Inoltre come ha ricordato ultimamente Papa Francesco nel suo viaggio apostolico a Sarajevo: «Abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui» (Papa Francesco, Discorso alle autorità della Bosnia ed Erzegovina, sabato, 6 giugno 2015).

La seconda consapevolezza è stata l’importanza della preghiera per formare un nuovo umanesimo che ci aiuta a comprendere, come diceva Madre Teresa di Calcutta, che: «La preghiera alimenta l’anima: essa sta all’anima come il sangue sta al corpo, e porta più vicini a Dio. Dona inoltre un cuore limpido e puro. Un cuore limpido può vedere Dio, può parlare a Dio e può vedere l’amore di Dio negli altri. Quando hai un cuore limpido, vuoi dire che sei aperto e onesto con Dio, che non Gli stai nascondendo nulla, e ciò che consente a Lui di prendere da te quello che vuole. Se stai cercando Dio e non sai da che parte cominciare, impara a pregare e assumiti l’impegno di pregare ogni giorno. Puoi pregare in qualsiasi momento, ovunque. Non è necessario trovarsi in cappella o in chiesa. Puoi pregare al lavoro: il lavoro non deve necessariamente fermare la preghiera, né la preghiera deve fermare il lavoro. Puoi anche consultare un sacerdote per essere guidato, o cercare di parlare direttamente con Dio. Basta che tu parli. DiGli tutto, parlaGli. È nostro padre, è padre di tutti noi, qualunque sia la nostra religione. Siamo stati tutti creati da Dio, siamo i suoi figli. Dobbiamo riporre in Lui, lavorare per Lui. Se preghiamo, otterremo tutte le risposte di cui abbiamo bisogno».

Don Emanuele Tupputi, Animatore Spirituale diocesano del MCC
dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie

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