rassegna stampa

Riscrivere l’alfabeto. Ridefinire l’umano

di Matteo Liut

Nel cantiere del “nuovo umanesimo” in vista del Convegno ecclesiale 2015 non poteva mancare un dizionario digitale in cui rinfrescare parole usurate da usi impropri. Perché il linguaggio è indispensabile per la bellezza della comunicazione.

Nel grande cantiere del nuovo umanesimo non può mancare un vocabolario condiviso, che sia in grado di dare all’intero progetto un impalcatura di senso condivisa. Quasi un piccolo «manuale», un diario di bordo che traccia la rotta costruita attraverso il contributo di voci ed esperienze diverse. È questo l’intento della rubrica Parole dell’umano.

Le voci di questo «dizionario digitale» offrono un percorso nel cuore dell’esistenza quotidiana attraverso termini che tutti usiamo ogni giorno ma riletti nell’ottica della Parola incarnata. Così – è il messaggio – il Vangelo si fa quotidiano e plasma la realtà di ogni giorno. Da «carne» a «spirito», da «corpo» ad «amore», passando per «simbolo», «genio», «città», «limite», «bellezza», «festa», «fiducia», «eccesso», «morte», «lavoro», «dono» e moltissimi altre parole. «Nell’era della comunicazione le parole sono importantissime – spiegano i promotori di questa ulteriore iniziativa che guarda al V Convegno ecclesiale nazionale di Firenze –. Sono come finestre che lasciano passare la luce che illumina la realtà. Se sono troppo strette, o oscurate da usi impoveriti, la nostra stessa comprensione del mondo è mortificata, dato che nell’essere umano linguaggio e pensiero si costituiscono a vicenda». La posta in gioco, quindi, non è un mero chiarimento accademico sul significato esatto dei termini da usare: «Per prendere la parola nello spazio pubblico della contemporaneità – si legge sul sito –, per poter rendere ragione anche a parole della speranza che ci sostiene, per annunciare con consapevolezza la bellezza dell’umano è importante ripartire dalle parole, riscoprendo il loro significato più autentico».

Anche secondo monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, «oggi le parole sono spesso soggette a una svalutazione, mentre la parola è in realtà non un guscio vuoto ma uno strumento che articola il nostro pensiero e rende possibile comunicazione e condivisione. Da qui la necessità di tornare al ‘nocciolo’ di ciascuna parola perché sia possibile un dialogo non semplicemente sulla base di luoghi comuni o di sensazioni ma sulla base di un significato concreto». La novità di questo «Vocabolario dell’umano», aggiunge Pompili, è quella di una costruzione fatta «non da una singola intelligenza ma a partire da una condivisione cui partecipano persone che hanno storie e sensibilità diverse. Persone che si cimentano in questa riscoperta della parola e mettono a disposizione la loro riflessione perché anche il vocabolario aiuti ad entrare nell’esperienza di Firenze 2015 attraverso strumenti concreti e condivisibili».

È da questi spunti, quindi, che è nata l’idea di un «vocabolario dell’umano », che offre definizioni «semplici ma accurate», le cui fonti sono diverse – testi del magistero o altri linguaggi come quello poetico, filosofico o artistico. Approfondimenti brevi, che possono gettare una nuova luce sulla comprensione dei termini che usiamo ogni giorno. Un percorso che porta a un «dizionario» aperto e multimediale, con una caratteristica essenziale che testimonia lo stile che la Chiesa italiana vuole dare all’intero Convegno nazionale. Il vocabolario, infatti, può continuare a crescere grazie al contributo di chi vorrà partecipare e alle fine diventerà uno strumento a disposizione di tutti nella preparazione del cammino verso Firenze 2015 e anche oltre.

A testimoniare la vivacità di questo progetto nel progetto è la «tag cloud», cioè la «nuvola» che contiene tutti i termini già presenti nel «vocabolario dell’umano». Su queste parole, ma anche su nuove, chiunque può proporre un proprio breve testo, con al massimo 500 parole, scrivendo all’indirizzo redazione@firenze2015.it. Dalla nuvola, ad esempio, emerge la parola «amicizia», la cui definizione è affidata a un testo di Giuseppe Savagnone, accanto al quale un vescovo, Domenico Cancian, pastore di Città di Castello, si sofferma sul termine «amore». «L’Amore del Padre e del Figlio, effuso nel cuore dell’uomo dallo Spirito Santo, incontrando le miserie umane si rivela misericordioso – scrive il presule –. Questo aggettivo qualifica l’amore a partire dalle viscere materne (l’ebraico rachamim evoca il grembo) e quindi l’amore “sviscerato”, istintivo e affettivo, oltre la logica razionale e misurata. I santi parlano di un Dio che “impazzisce d’amore per l’uomo peccatore”, un Dio che “perde la testa e ragiona col cuore”. Un Dio che rivela l’Amore misericordioso paterno, materno, fraterno, sposale, amicale».

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