rassegna stampa, umanesimo digitale

Sempre connessi, per dirsi cosa? 

di Ilaria Solaini

Essere facilitatori della condivisione e della comunicazione, in uno scenario mediatico in mutamento, contraddistinto dall’essere sempre connessi, dimensione antropologica prima che tecnologica. È questa la dimensione di servizio cui gli animatori della cultura sono chiamati oggi. Una vocazione che significa ‘responsabilità’, cui ha fatto riferimento il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica, che assieme a Francesco Botturi, prorettore dell’ateneo milanese, a Chiara Giaccardi, direttore scientifico del corso per Animatori della comunicazione e della cultura (Anicec) e al direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della Cei, don Ivan Maffeis, ha preso parte nei giorni scorsi a un dibattito per nuovi animatori sul tema «Tutto è connesso. Comunicazione e media digitali per un umanesimo integrato e integrante», che ha concluso il percorso formativo Anicec di quest’anno.

Un appuntamento strettamente collegato al Convegno di Firenze, nel quale, tra un mese, si discuteranno le sfide cui oggi è chiamata la Chiesa italiana. Giuliodori ha ricordato la necessità di «coltivare l’opinione pubblica» in una «dinamica di comunione».

Se la grande potenzialità di connessione, secondo Giuliodori, non è ancora adeguatamente sfruttata per l’Annuncio, è centrale la rilevanza dei contenuti, che oggi, afferma Botturi, somigliano sempre meno a «frammenti da cui ricavare la forma originale» e sempre più a «schegge» slegate dalla realtà.

15UM0121Dalla sfida dei contenuti si passa alla «cultura dell’incontro», un tema caro a papa Francesco e ben esemplificato in quell’apertura evocata dall’immagine della banda larga evocata da Giuliodori: anche se «la vera connessione ha bisogno di momenti di sconnessione» e soprattutto di senso e significato, oltre che di «andare in un verso, in una direzione», «verso quelli che sono i fini eterni della vita».

Grazie a una comunicazione che ci ha «collegati con tutto e con tutti in qualsiasi momento», don Ivan Maffeis, riprendendo una citazione di Franca Valeri, ha posto sul tavolo un’altra questione aperta: «Siamo poi sicuri di sapere che cosa dire?». Come cristiani «dobbiamo trasmettere una Parola di speranza» di cui siamo portatori e beneficiari e attraverso la quale è possibile interpretare ciò che accade. Siamo, dunque, chiamati a essere «collaboratori di Cristo, rispettando il nostro limite – ha concluso Chiara Giaccardi – ma nell’imprescindibile necessità di impegnarci» per il bene comune dentro la società della comunicazione.

da Avvenire, 13 ottobre 2015

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