rassegna stampa

«Testimoni di Cristo accanto ai sofferenti» 

di Paolo Viana

Ad Assisi si è chiuso con un forte invito alla concretezza il Convegno nazionale di pastorale della salute. Fra Etayo: serve un atteggiamento di autentica speranza Don Arice: globalizzare la fraternità

Concretezza. È la parola d’ordine lanciata dal convegno nazionale dei direttori degli uffici, delle associazioni e degli operatori della pastorale della salute. Si è concluso ieri a Santa Maria degli Angeli. «Le cinque vie indicate dalla Traccia del convegno ecclesiale di Firenze – ha spiegato il direttore dell’ufficio Cei don Carmine Arice – possono e debbono essere declinate alla concretezza».

La stessa chiave di lettura dell’intervento di fra Jesus Etayo, superiore generale dei Fatebenefratelli: «Il Nuovo Umanesimo che il mondo invoca e che vogliamo realizzare mostra tutta l’attualità del Vangelo in questo tempo di crisi e lo esprime quotidianamente anche nel mondo sanitario; tuttavia l’annuncio non basta – ha spiegato – e dobbiamo lavorare ancora e molto sulla concretezza dell’incontro con il malato e i suoi familiari. Chi soffre deve vederci accanto quotidianamente, con l’amore di Cristo negli occhi e nelle parole, affinché comprenda che siamo davvero al suo fianco, anche e soprattutto quando la medicina e la tecnica non sanno più cosa dirgli. Ma attenzione, in questo mondo in cui tutti sono umanisti, il nostro incontro con la sofferenza – in quanto espressione dell’umanesimo cristiano – deveessere caratterizzato da un atteggiamento di autentica speranza: il malato deve avvertire non solo una presenza umana ma quella di un testimone di Cristo».

Don Arice, nelle conclusioni del convegno, ha declinato così la nuova pastorale della concretezza che la Cei vuole offrire al mondo sanitario: «Il punto di partenza è l’amicizia con Cristo, altrimenti facciamo delle strategie aziendali. Il punto di partenza ha un tono mistico ». Senza che ciò comporti una chiusura: «Se non realizziamo la globalizzazione della fraternità non diamo l’apporto specifico di una rivoluzione evangelica per cui nessuno è estraneo, nessuno è ‘straniero’ ». Guardando al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, si deve forgiare allora «una pastorale in uscita, che si fa missionaria, senza tacere le ingiustizie ma senza fermarsi alla denuncia né aspettare che le istituzioni si facciano carico delle soluzioni ai problemi; una pastorale di annuncio, una testimonianza fatta di gesti e di parole; una pastorale che ‘abita’ la sofferenza, anche attraverso cappellani preparati; una pastorale che educa al Vangelo e al mistero cristiano della sofferenza in un mondo che è alla ricerca di senso; una pastorale della salute che sappia trasfigurare, dando un contributo originale alla umanizzazione della medicina». La prospettiva ecclesiale, è stato detto, è quella di essere «più radicati nella storia del territorio con concretezza e profezia». Un cammino che porta direttamente a Firenze 2015, con l’intento, è stato ripetuto anche ieri, di passare «da una pastorale integrata a una pastorale pensata e progettata insieme» agli altri ambiti d’impegno ecclesiale.

da Avvenire, 11 giugno 2015

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