segni dell'umano

Timbuktu, l’umanità spezzata dall’integralismo

di Paolo Perrone

Un mosaico di storie di ordinaria sopraffazione a Timbuktu, in Mali, scandite dai divieti implacabili degli integralisti islamici. Il lungometraggio di Abderrahmane Sissako, recente candidato all’Oscar come miglior film straniero (e, prima ancora, in concorso al Festival di Cannes, dove ha vinto il premio della Giuria ecumenica), intitolato alla storica città africana, affianca numerosi frammenti di una quotidianità spezzata dalle cieche regole della jihad. Un ferreo controllo che nelle strade di Timbuktu e nelle tende disposte sulle dune circostanti proibisce musica, sigarette, persino il calcio. Arrivando a lapidare una coppia unita fuori dal matrimonio e a condannare a morte un allevatore, sposato e padre amorevole di una adolescente, a sua volta responsabile dell’omicidio di un pescatore dopo che gli era stata uccisa brutalmente una mucca.

Fissati dalla macchina da presa di Sissako, nato in Mauritania, già autore, in passato, del significativo Aspettando la felicità, gli uomini armati, accecati dalla loro distorta fede nel Corano, appaiono anime perse in una goffa babele di lingue e dialetti differenti, contraddette nella loro guerra all’infedeltà musulmana non solo dall’imam del luogo, che richiama tutti, saggiamente, a una corretta interpretazione dell’islam, ma anche da alcune debolezze, come il fumare di nascosto o il desiderare una donna sposata, occultate dal crepitare dei kalaschnikov.

Mostrando dunque una certa inadeguatezza delle missione jihadista, ma allo stesso tempo rendendo esplicito il percorso dell’integralismo islamico, Timbuktu ricompone le due facce contrapposte di un unico volto: i miliziani sono dei fannulloni, falliti, ipocriti e violenti, ma possono avere anche qualche rigurgito di umanità, restituendo gli occhiali e i medicinali ad un ostaggio europeo, od offrendogli il tè. “Ogni essere umano è complesso”, ha detto Sissako presentando il film, “un jihadista in fondo è come noi, ma la sua vita è cambiata tragicamente. Una persona che usa violenza sugli altri ha anch’egli dei dubbi”. È qui, nel lasciare aperta la porta alla coscienza, che Timbuktu trova il suo punto di contatto con lo spettatore. Incollandolo allo schermo grazie ad un eccellente predisposizione del tessuto narrativo, mai prigioniero della retorica nella sua ferma volontà di denuncia, e grazie ad un uso suggestivo della fotografia, luminosa e di rara bellezza ma mai stucchevole.

Il risultato è una pellicola intensa, vibrante e commovente, con alcune scene a restare impresse nella memoria. Come la partita tra due giovani squadre di calcio senza il pallone, mimando azioni, tiri e parate, e la caccia a una gazzella. Una sequenza che, dopo aver aperto il film, lo chiude, prima dei titoli di coda, sovrapponendo all’immagine dell’animale braccato quella di due ragazzi in fuga dai miliziani.


Timbuktu (Le chagrin des oiseaux). Un film di Abderrahmane Sissako. Con Ibrahim Ahmed, Toulou Kiki, Abel Jafri, Fatoumata Diawara, Hichem Yacoubi. Drammatico, Kids+13, durata 97 min. Francia, Mauritania 2014.


 

In collaborazione con ACEC – Associazione Cattolica Esercenti Cinema

 

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