letture sull'umano

Umanesimo profetico. La complicata relazione tra cattolicesimo e cultura

di Francesco Valerio Tommasi

Il libro Umanesimo profetico. La complicata relazione tra cattolicesimo e cultura intende proporre una riflessione sui rapporti tra il cattolicesimo e la cultura contemporanea. L’analisi prende le mosse dalla constatazione di un’assenza: nel panorama attuale mancano prospettive che riescano ad essere, al contempo, orientate dalla fede, sostenute da solidi fondamenti scientifici e incisive sul dibattito pubblico non specialistico. Si danno ovviamente proposte specifiche, su singoli temi, che traggono ispirazione dalla dottrina cattolica e sono sostenute da studi seri e approfonditi. Così come vi sono numerose persone e gruppi impegnati onestamente in un corpo a corpo faticoso con le realtà politiche e sociali, e dunque anche culturali, più diverse. La mancanza che avvertiamo però è quella di una elaborazione intellettuale cattolica di più ampio respiro, avvertita ed efficace, capace di farsi visione del mondo. Capace di innervare la società e di essere trainante in virtù di riferimenti non ingenui o irricevibili. […]

Il titolo del libro richiama quello che ci pare essere stato l’ultimo tentativo di rispondere all’esigenza di un progetto culturale ispirato dalla fede cattolica, fondato ed efficace al contempo: Humanisme intégral di Jacques Maritain. L’opera, pubblicata oramai nel 1936, ha segnato profondamente la riflessione cattolica del Novecento, sia in ambito teologico e filosofico, sia nei campi politico e più latamente sociale, culminando con l’essere di ispirazione ad alcuni documenti del Vaticano II e poi al pontificato di Paolo VI. Ma lo scritto di Maritain continua ancora oggi, implicitamente o esplicitamente, a segnare tanto lessico e tanta mentalità ecclesiale, sino ai ripetuti e talora quasi ossessivi richiami al “nuovo umanesimo”.

Quest’espressione, che è il titolo del secondo capitolo di Humanisme intégral, ricorre per ben tre volte, assieme a numerose menzioni sull’“integralità” dell’uomo, della persona, della sua vocazione e della sua cultura, soprattutto nella costituzione conciliare Gaudium et spes: una prima volta in modo critico, rispetto a un’idea di uomo che, in nome del progresso scientifico, prescinde dalla religione (al n. 7); una volta in modo positivo, al n. 55, dedicato proprio all’Uomo artefice della cultura, in cui si menziona «la nascita d’un nuovo umanesimo, in cui l’uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia»; una terza volta, infine, poco più avanti (n. 56), laddove si pone invece in modo interrogativo una questione che investe in pieno i temi cui ci rivolgiamo qui: «Come, infine, riconoscere come legittima l’autonomia che la cultura rivendica a se stessa, senza giungere a un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione?».[1] Se nei primi due aspetti si rinviene l’eco del Maritain assieme “antimoderno” e “ultramoderno”, l’oscillazione e l’ambiguità del pensiero cattolico, su cui ci soffermeremo, sono tutte sospese nella domanda.

Di Humanisme intégral ci attraggono non tanto le idee concrete e i contenuti specifici – se fossero tuttora validi e applicabili, d’altronde, non avrebbe senso tentare queste riflessioni, che anzi si distanziano anche molto da alcune idee di quell’opera – quanto la direzione, il metodo e il senso più generale della proposta. Anzitutto l’orientamento, che cerca di tenere la barra dritta, per usare le parole dell’autore, tra «i principi dei sacerdoti» e «il potere civile», mirando a un umanesimo che eviti di chiudersi alla trascendenza, ma che sia anche «non sacrale».[2] Maritain vive le tempeste politiche del Novecento. In particolare la sua critica si rivolge – e ancora parafrasiamo le sue parole – sia al marxismo materialista, che eleva a Dio idoli terreni, sia ai fascismi, che rendono Dio un idolo, strumentale a un ordine politico autoritario. Egli muove quindi un passo deciso verso la democrazia e verso il pluralismo. Se tale passo, tuttavia, è entrato nel sentire comune ecclesiale ed è oramai patrimonio acquisito, non è sorretto concettualmente da una elaborazione capace di fondarlo

intellettualmente in modo definitivo, come già accennavamo. Poi, a livello di metodo, in Maritain troviamo la capacità di trarre dalla tradizione teologica e filosofica classica elementi portanti per idee incisive rispetto alle questioni aperte della società. […] Maritain, anche da questo punto di vista, riesce ancora a trovare una “via mediana” e ad impostare un equilibrio che abbiamo detto oscillante, precario, e alla lunga destinato a crollare, ma fecondo almeno per una stagione. Individueremo in tale equilibrio una caratteristica tipica del cattolicesimo in generale e di alcuni suoi concetti fondamentali – in particolare quelli di analogia e di natura – che si traduce in un atteggiamento complessivo nei confronti della cultura, della società, della politica. Argomenteremo quindi contro la possibilità di proporlo ancora, e a favore della necessità di scinderlo nei suoi elementi costitutivi. […]

Lo slancio con cui Maritain nel sottotitolo del suo lavoro (Problèmes temporels et spirituels d’une nouvelle chrétienté) parla di “nuova cristianità” ci appare difficilmente riproponibile. La cristianità, in particolare la cristianità europea e occidentale, quella dunque che più di tutte deve fare i conti con la propria tradizione e con la propria cultura, è invecchiata; anzitutto in senso letterale e anagrafico, visto che le statistiche raccontano di una crisi demografica tanto grave quanto assurdamente non vissuta come urgenza; nonché dell’affievolirsi progressivo e inesorabile della cosiddetta pratica religiosa e delle vocazioni, nonostante tanta retorica sulla fine del paradigma della secolarizzazione. Ma l’invecchiamento della cattolicità è anche ideale, vista l’incapacità di trovare proposte trainanti, messaggi realmente aggreganti e in grado di andare al di là di un evento estemporaneo o di una breve fase: si vive normalmente a ricasco di proposte intellettuali, filosofiche, culturali e politiche altrui, talora persino di mode culturali effimere. Molto problematico è poi […] distinguere chiaramente, come ancora faceva Maritain servendosi del lessico della tradizione, problemi “temporali” e “spirituali”. La cultura è invece l’ambito in cui entrambi gli aspetti vengono a una sintesi.

Soprattutto, infine, da Maritain vogliamo riprendere la riaffermazione dell’umanesimo come punto di partenza ancora e sempre valido per chi crede nel ruolo della cultura e nella necessità della sua promozione; e per chi vuole lasciarsi orientare da un credo che trova nell’annuncio dell’incarnazione divina il suo cuore. «Cristo […] svela anche pienamente l’uomo a se stesso, rendendogli nota la sua altissima vocazione». Questa frase, ancora da Gaudium et spes (n. 22), è esemplare per impostare il rapporto tra cattolicesimo e cultura, a partire dalla loro strettissima vicinanza e quasi sovrapponibilità.

Di contro all’umanesimo proposto da Maritain, tuttavia, è oggi improponibile l’idea dell’“integralità”. Ciò per due ragioni: uno dei tratti di pensiero decisivi con cui secondo noi non ha ancora fatto i conti adeguatamente il cattolicesimo è l’impossibilità della totalizzazione e della sistematizzazione, per cui ogni quadro di riferimento che pretenda assolutezza e universalità è impossibile, oltre che intrinsecamente polemogeno e dunque almeno potenzialmente violento.

A ciò si aggiunga che l’idea di uomo che è ricavabile oggi dallo sviluppo della scienza e della tecnica rende davvero arduo persino avvicinare l’idea stessa di umanesimo, che appare piuttosto “disintegrata”. Il riferimento qui è al dibattito sui cosiddetti “post-” e “trans-umanesimo”, e più lata mente su tutte le questioni che conducono a una ibridazione o a un superamento dell’idea di uomo: dall’intelligenza artificiale alla clonazione anche umana, dai diritti degli animali alle nuove identità sessuali ecc.[3]

Come coniugare allora l’esigenza di riaffermare nuovamente l’umanesimo con la critica che dalla scienza e dalla cultura contemporanea arriva a ogni sua formulazione credibile? Di fronte a questa difficoltà – con cui riprendiamo e attualizziamo l’interrogativo di Gaudium et spes sull’umanesimo – e più in generale di fronte al momento di crisi, abbiamo ritenuto opportuno ritornare alle radici e verificare quanto anzitutto la Scrittura stessa ci dice sul ruolo della cultura.

Ne è emersa l’idea di profezia. Se rettamente intesa, e rimessa cioè sulla traccia di un sapere in prima istanza ob-audiente, la figura del profeta indica un modello di intellettuale responsabile, piuttosto che aedo del proprio ego e della propria originalità di vedute. Essa presuppone il primato della parola e non quello del pensiero, e la contestuale inaggirabilità della pluralità delle persone (parlare “in vece di”, anche controvoglia) di contro all’individualismo e all’arbitrio soggettivo. Il profeta sembra quindi sintetizzare in sé alcuni tratti di una posizione che può criticare a parte post, e non a parte ante, ossia senza nostalgie e revanscismi, un certo immanentismo moderno. Non l’immanentismo che è giunto alla perdita di ogni ordine naturale o sacrale, esito inevitabile dell’ontoteologia come traduzione filosofica, o magari caricatura, del Dio biblico; ma l’immanentismo volgare di una società edonistica che non vede al di là dell’“unico e della sua proprietà”, anzi del suo bisogno momentaneo e irriflesso. In un’epoca di consumo, la parola del profeta deve invertire la tendenza, farsi carne e dare vita, nutrire.

Rinunciando a ogni assoluto, anche terreno o secolarizzato, il compito consiste nell’affermare con parresía i limiti di ogni potere umano, potenze, principati e potestà, rivendicando l’eccedenza di senso che insiste in ogni costruzione umana. La cultura e il cattolicesimo possono e devono trovare una rinnovata missione comune in questo umanesimo: nell’orfano e nella vedova, nella difesa dell’umanità più dimenticata e negata, ridotta in schiavitù e trattata come merce, nella vita debole e indifesa – in tutte le sue forme: dagli embrioni ai morenti, sino agli animali e alla terra – e persino nei criminali, dove la dignità persa dalla colpa va riaffermata con ancora più decisione.

Rispetto all’interrogativo sull’umanesimo di Gaudium et spes intendiamo dunque proporre un passo a prima vista paradossale: occorre riconoscere senza remore l’autonomia della cultura, del mondo, e anzi ricondurvi anche la religione. Non si può non riconoscere che l’immanenza autentica, quella cioè che nega la possibilità metafisica di concepire l’assoluto, è un orizzonte intrascendibile. Allo stesso tempo, quanto più sarà puramente e autenticamente terrestre, tanto più l’umanesimo potrà essere non avverso alla fede, perché aperto alla ricerca di senso, a una dimensione che travalichi il mero orizzonte del bisogno individuale ed egoistico momentaneo, il vuoto consumismo di una società dello spettacolo autoreferenziale, tanto frivola nelle società opulente del benessere quanto drammatica laddove manca anche il minimo per la sussistenza. Il compito della cultura e del cattolicesimo può essere quello di sovvertire questa struttura di peccato che ingabbia sempre più persone in un debito inestinguibile, con una sorta di ripetizione, costruita socialmente, della colpa d’origine. Raddrizzare i sentieri di un vivere sensato e significativo, far aleggiare lo spirito sul vuoto informe: quest’opera profetica è quantomai culturale, quantomai umanistica, quantomai etimologicamente “cattolica”. Ma lascia altresì lo spazio e il tempo affinché la pronuncia del nome di Dio non risuoni più violenta né insensata.

Note

[1] Di “nuovo umanesimo” si parla anche nell’Allocuzione di Paolo VI per l’ultima sessione pubblica del Concilio (7 dicembre 1965), che assieme a Gaudium et spes si viene a collocare significativamente in chiusura di quell’esperienza. Presentissima nel lessico ecclesiale, l’espressione è divenuta quasi uno slogan, e a cinquant’anni di distanza viene ripresa nel titolo del Convegno ecclesiale nazionale previsto a Firenze per novembre 2015 (In Gesù Cristo il nuovo umanesimo). Va altresì notato come non ogni menzione conciliare dell’umanesimo debba probabilmente essere ricondotta all’influsso di Maritain, visto che il mondo della cultura, in particolare francese, conosce attorno a quegli anni un ampio dibattito sulla questione, cui partecipano, tra gli altri, Sartre, Camus, Merleau-Ponty, poi Levinas e, in ambito ecclesiale, de Lubac.

[2] J. Maritain, Humanisme intégral. Problèmes temporels et spirituels d’une nouvelle chrétienté, Aubier, Paris 1936, 7 e 15.

[3] Nuovamente Gaudium et spes, trattando dell’aiuto che la chiesa riceve dal mondo, e perciò della necessità non solo di ascoltare, ma di farsi ispirare dalla scienza e dalla cultura contemporanea, al punto 44 afferma: «Come è importante per il mondo che esso riconosca la chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento [e così – notiamo per inciso – si afferma anche il carattere storico e culturale della chiesa], così pure la chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall’evoluzione del genere umano. L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la chiesa».


Brani tratti dall’Introduzione di F.V. Tommasi, Umanesimo profetico. La complicata relazione tra cattolicesimo e cultura, San Paolo 2015 (pp. 7-20)

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