rassegna stampa

Un coro che dà voce a linguaggi diversi

di Chiara Giaccardi

Le pagine che raccolgono le linee guida verso l’evento dell’anno prossimo sono il frutto di una «convivialità delle differenze». Spazio anche al dialogo tra maschile e femminile

Il mezzo è già messaggio, direbbe McLuhan. Anche per il prossimo Convegno della Chiesa italiana di Firenze 2015, ciò che si è fatto fin qui contribuisce a far emergere il tema dell’umano su cui ci si vuole incontrare.

È stata resa pubblica la traccia di lavoro. Si può dunque anche rendere pubblico il modo in cui a questa traccia si è arrivati. Attraverso un processo di ascolto, prima di tutto. Ascolto di tante voci: quelle del Comitato (che rappresenta tutte le diocesi italiane) e quello delle narrazioni che da tutta Italia, sollecitate dall’invito, sono pervenute da parte di diocesi, associazioni, movimenti, parrocchie, ordini religiosi. Quindi, un lavoro di scrittura a più mani, dopo uno scambio sui punti qualificanti emersi. Mani maschili e mani femminili, mani di consacrati e di laici: non può essere una sola voce a farsi interprete dell’umano, ma una polifonia che sappia incarnare, già a partire dal documento di lavoro, la «convivialità delle differenze».

Questa traccia è davvero «corale». Inoltre, non è un documento chiuso. Non lo è nella sua forma, anche perché sul sito diventerà un ipertesto, aperto a contributi e approfondimenti. Non lo è nella sua finalità, perché non dice cosa pensare sull’umano, ma come mettersi in movimento per un cammino di consapevolezza e testimonianza, il più possibile condiviso. Un cammino che si «approssima» a una verità che non possiamo mai possedere, e che in questo movimento ci «rende prossimi» tra noi e ci umanizza.

A fronte poi di un rischio di intellettualismo, si è cercato di trovare parole che evocassero e non solo argomentassero, perché logos e pathosnon vanno separati, né tantomeno contrapposti, ma costituiscono insieme una pienezza cui non dobbiamo rinunciare. I linguaggi usati sono diversi: quello della scrittura, nelle sfumature dei diversi registri (dall’esistenziale al teologico al poetico) e quello delle immagini, che non sono pure illustrazioni, ma tracciano esse stesse un percorso di lettura dell’umano: nella sua quotidianità, nella sua relazionalità ma anche nella sua solitudine, nel suo rapporto col mistero, nelle vette che sa raggiungere quando mette la propria arte a servizio della lode.

Bello che le immagini siano state scattate da una donna, consacrata. Uno sguardo femminile illuminato dalla fede, dimensione irrinunciabile dell’Umanesimo; un modo originale di essere «serva del Signore», alla sequela diMaria, che riesce a regalare ad altri una nuova prospettiva di accesso alla realtà, aprendo una finestra di percezione trasfigurata. E anche, quantomai prezioso in questo momento, un punto di accesso originale sull’identità di genere in una prospettiva cristiana. Quello femminile, ha detto papa Francesco, è un «contributo impareggiabile alla vita e all’avvenire della società».

Le cinque vie dell’Umanesimo suggerite dalla traccia si ritrovano nelle immagini che la illustrano, che ne sono in un certo senso il frutto. Immagini in bianco e nero, dove lo stile del reportage accompagna oltre il dato, sa cogliere le luci e le ombre, fa emergere l’essenziale nella sua bellezza illuminata dalla grazia. Uscire per le vie della città, attraversando periferie e luoghi d’arte con una presenza sollecita e ricettiva; annunciare con uno sguardo amorevole che ciascuno è una «storia sacra»; abitare la propria vocazione come una casa dalle porte aperte, che accoglie la realtà e la visita, che mette a disposizione i propri doni per la gioia di tutti; educare alla bellezza e alla grazia, che possono emergere se prima di tutto purifichiamo e riscaldiamo il nostro sguardo; trasfigurare la realtà restituendola in tutto il suo mistero. Guardare la città come un volto, con i suoi chiaroscuri, le sue rughe e ferite ma anche la bellezza che sempre traspare se la si sa cogliere. Uno sguardo che rigenera ciò che è guardato: non come un oggetto da possedere, illustrare, spiegare, convertire, piegare a significati già scritti, ma come un soggetto da incontrare, perché possa realizzarsi quell’inizio vivo di cui parla Guardini a proposito dell’incontro. Perché tutti da questo inizio possano essere «rimessi al mondo», rinascere a nuova luce.

da Avvenire, 7 dicembre 2014

 

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