rassegna stampa

Una “rete” di carismi per vivere il servizio

di Marco Iasevoli

Il grande appuntamento di Firenze rilancia l’impegno a «camminare insieme». E all’appello rispondono associazioni e movimenti ecclesiali. Educazione e attenzione all’ambito sociale e politico le priorità. «La missione? È sotto casa, fra i lontani e gli ultimi»

Tutto quello che esiste – le persone, le organizzazioni, le strutture – deve essere a servizio della missione, a servizio della “cultura dell’incontro” predicata da papa Francesco e della nuova pagina che la Chiesa italiana sta scrivendo a Firenze. Non è un impegno da poco se viene dalle aggregazioni laicali del Paese, rappresentative di almeno 2 milioni di aderenti e simpatizzanti, presenti al Convegno con i loro presidenti e leader. Mischiati tra i delegati, entusiasti dei tavoli di lavoro, continuamente fermati da qualcuno che li riconosce, che li ha incontrati a un campo scuola, in qualche esperienza di evangelizzazione. «Portiamo qui il volto di una moltitudine di persone che servono l’altro nella gratuità e che dimostrano ogni giorno che la Chiesa non può essere ridotta solo agli scandali», incita Matteo Truffelli, presidente dell’Azione cattolica.

Non è facile. Le cose da cambiare ci sono. Non solo nelle “gerarchie”, come spinge una certa onda mediatica. Ma anche tra i cosiddetti “praticanti”. E in tanti militano proprio nelle associazioni e nei movimenti.

«Francesco ci incita a raggiungere la piena maturità ecclesiale – si ferma a riflettere Jesus Moran Cepedano, copresidente del Movimento dei focolari – . Per me questo significa comprendere una volta per tutte che i nostri progetti, i nostri carismi, non ci appartengono ma appartengono alla Chiesa. Il Papa questo manco lo discute, lo pone come premessa, lo dà per scontato. Gesù è sempre fuori, nei luoghi di disumanizzazione, e lì dobbiamo stare insieme, unendo le forze». Più unità, meno autoreferenzialità. «Non basta star bene tra di noi, all’interno dei nostri gruppi. Molti giovani qui lo stanno dicendo, il loro realismo è forse la più grande provocazione di questi giorni. Le pecorelle stanno quasi tutte fuori, tutto deve avere come prospettiva l’annuncio, le nostre identità debbono essere compagnia agli uomini, non un ostacolo», prosegue Roberto Fontolan, responsabile del Centro internazionale di Comunione e liberazione. Il tema è sentito. C’è voglia di superare dibattiti interni sterili (e in realtà già si è iniziato a superarli). «Lasciamo agli storici il giudizio su quello che è stato nel secolo scorso, sui diversi stili di essere credenti nel mondo – dice in modo più crudo Carlo Costalli, leader del Movimento cristiano lavoratori –. C’è un presente che ci interpella tutti allo stesso modo e che vale più delle dispute teoriche».

Tra di loro, tra i presidenti e tra le aggregazioni, gli scambi non mancano. Si vedono nella Consulta nazionale dei laici. Lavorano insieme in Retinopera. Condividono due priorità, impegno formativo e socio- politico. «Dobbiamo provare a fare uno scatto avanti, a condividere un patto educativo tra di noi e con le parrocchie – è la proposta di Matteo Spanò, presidente dell’Agesci –. Noi scout desideriamo stare in questa Chiesa con la nostra proposta un po’ di frontiera, che attraverso lo stile della concretezza porta l’annuncio di Gesù a ragazzi e giovani che altrimenti non si avvicinerebbero alle parrocchie». Educazione e impegno, dunque. «La parola chiave è dialogo. Dobbiamo cercare ostinatamente terreni di incontro e scambio con le persone, le culture e le religioni. Senza stancarci, con umiltà e coraggio. Vogliamo essere credenti inquieti e cittadini inquieti », riprende Truffelli. C’è voglia di darsi da fare, di «accorciare – come dice Fontolan – la distanza tra formazione e azione». Una pista la offre Gianni Bottalico, presidente delle Acli: «Si dice che i cattolici in questa fase politica appaiono insignificanti, ma se ci si riferisce all’impegno per la giustizia e l’inclusione sociale, per ridurre povertà e disuguaglianze, sono ancora un punto di riferimento importante. Allora vuol dire che dobbiamo ridefinire le priorità dell’impegno nel sociale e in politica, e forse il parametro è proprio quello stare nel popolo che Francesco ha sottolineato».

Una nuova agenda che ha al primo posto gli ultimi e i semplici, dunque. «L’amore trinitario – riprende la parola Jesus Moran – ha anche una implicazione sociale, spinge la Chiesa ad essere coscienza critica. Ci sentiamo confermati a rafforzare i nostri progetti per una economia civile di comunione». Un sentimento che prende piede in modo prepotente. «La prima scelta è l’incontro con i poveri e con loro capire meglio la realtà, per poi realizzare proposte vivibili che aprano alla speranza», scrive in una nota Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio. In fondo, è quel «chinarsi sui sofferenti per combattere le controtestimonianze di chi cade nella tentazione del potere» che mette nero su bianco anche Beppe Elia, presidente del Meic.

L’Evangelii gaudium è tra le mani, ora deve diventare strada. Il 15 gennaio l’Ac radunerà tutti i delegati di Firenze provenienti dall’associazione per «contribuire a portare lo stile sinodale nelle diocesi e nelle parrocchie», annuncia Truffelli. Mcl incontrerà il Papa il 16 gennaio. Spanò, al prossimo Consiglio nazionale Agesci, vuole comunicare «la bellezza di questo stile collegiale che ha riacceso in tanti la voglia di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato». E tanti altri appuntamenti sono in programma in ogni aggregazione. Per loro, il dopo-Firenze è già iniziato.

da Avvenire, 13 novembre 2015

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