Una rete di relazioni vere oltre la crisi dell’impiego
di Chiara Giaccardi
Antropologia ed economia sono strettamente legate Anche quando c’è, il lavoro, da solo, non basta: servono condizioni che promuovano l’autentica identità dell’uomo
Il tema del lavoro è oggi insieme drammatico e urgente. Non si può parlare di umanesimo senza toccare questa dimensione fondamentale: il lavoro ci «unge» di dignità, con le parole di papa Francesco. Al numero 192 della Evangelii gaudium leggiamo che «nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita», mentre al numero 128 della Laudato si» è riconosciuto il legame profondo tra perdita del posto di lavoro ed erosione del «capitale sociale», ovvero dell’insieme di quelle reti di relazione e fiducia che sostengono la nostra vita quotidiana.
Insomma, la dimensione antropologica e quella economica sono strettamente legate, e poiché «tutto è connesso» le mutazioni del mondo del lavoro pongono nuove sfide antropologiche.
Anche quando c’è, il lavoro, da solo, non basta. Non dobbiamo essere schiavi, ma signori del lavoro, dice sempre il Papa. Le condizioni lavorative, anche quando non sono di vera e propria schiavitù – nel senso ormai oggi purtroppo sempre più diffuso – sostengono davvero la nostra umanità? O la mortificano, «mangiandoci» il tempo e spingendoci a mettere in secondo piano relazioni e affetti? Quali immaginari nutrono le nostre speranze sul lavoro, quali miti dobbiamo imparare a sfatare, quali semi di speranza possiamo vedere intorno a noi, coltivati soprattutto dai giovani? Semi che, se abbiamo la pazienza di vedere, cominciano a portare buoni frutti.
Rispetto alla classica formula del convegno si è scelto, nel laboratorio del prossimo 1° ottobre, di offrire un’occasione di riflessione attraverso sollecitazioni formulate in linguaggi diversi. La struttura portante del pomeriggio si articola infatti in tre momenti che guardano al lavoro da punti di vista e con modalità comunicative diverse, ma complementari.
In una prima sezione, «Racconti», si usa il linguaggio coinvolgente del teatro per calare con immediatezza i partecipanti (in sala e in remoto grazie allo streaming) nelle situazioni di fatica e disillusione ormai sempre più comuni, sia rispetto alla realizzazione di sé sia, soprattutto, rispetto alla possibilità di conciliare il lavoro e gli affetti.
Due brevi monologhi (di Gabriele Paoloca e di Arianna Scommegna), e un breve dialogo (di Arianna Scommegna e Mattia Fabris) aiuteranno, grazie anche al talento dei giovani attori protagonisti, a entrare direttamente in medias res.
In un secondo momento, «Dialoghi», si riprendono alcuni fili e alcuni nodi cruciali evocati nella prima parte. Chiara Giaccardi dell’Università Cattolica e don Walter Magnoni della Pastorale sociale e del lavoro dialogano con il filosofo Silvano Petrosino per un approfondimento che offra chiavi di lettura e di critica costruttiva e aiuti a identificare direzioni sensate da intraprendere.
Il terzo momento, «Segni di speranza», usa il linguaggio della testimonianza per condividere, attraverso la voce dei protagonisti, storie di giovani che sono stati capaci di trasformare la situazione di crisi in opportunità per immaginare vie nuove.
Un percorso in tre tappe, quindi, che va dalla fotografia del reale all’apertura sulle prospettive, in un crescendo che cerca di cogliere l’elemento profetico di un lavoro «trasfigurato» da un’autentica passione per ciò che è davvero umano.
Chiudono i lavori una breve presentazione degli atti della 47ª Settimana sociale e la conclusione di monsignor Fabiano Longoni, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Cei.
da Avvenire, 20 settembre 2015