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Uscire: una Chiesa profetica

di Laura Zanfrini

L’ambivalenza di una Chiesa sollecitata a “uscire” e accompagnare le situazioni concrete, e che è però al tempo stesso restia a uscire da se stessa e ad aprirsi, affiora in maniera formidabile nel suo rapporto con l’immigrazione, tanto quella ormai storicamente presente nelle nostre comunità, quanto quella che le ha sopraffatte sulla scia dell’emergenza umanitaria di questi mesi.

Da un lato vi è infatti la Chiesa altruista e generosa, custode dei valori della fratellanza universale, da sempre in prima linea nell’accogliere i migranti e nel rispondere ai loro bisogni, disponibile ad aprire i propri spazi ai migranti di tutte le fedi, a mobilitarsi di fronte a ogni nuova emergenza e a rispondere prontamente all’appello del Papa di ospitare le famiglie di profughi.

Ma, dall’altro, vi è la Chiesa intimorita e reticente, incline più ad assistere i migranti che a coinvolgerli realmente nelle attività liturgiche e pastorali, disponibile più a “educare” i migranti che a farsi interpellare dalla loro presenza, non sempre in grado di esercitare il discernimento che ci impone un fenomeno di portata straordinaria come sono le migrazioni contemporanee.

Quella di cui s’avverte la necessità è una Chiesa profetica, capace di svolgere una missione realmente educativa, che non si risolva nella trasmissione di saperi e competenze, ma si ponga l’obiettivo di formare attori sociali riflessivi e in grado di interpretare il mutamento. Una missione educativa che diventi catalizzatrice di risorse, valori, innovazioni, rendendosi espressione di un progetto collettivo che guardi al futuro. Ed è qui che si colloca il ruolo strategico di una Università come la nostra, impegnata nella formazione dei giovani e della futura classe dirigente, ma anche presente sui territori diocesani e particolarmente attiva nella formazione permanente.

Procedendo necessariamente in modo sintetico, la Chiesa profetica di cui parlo è:

• la custode dei fondamenti etici della civiltà europea e occidentale, e perciò in grado di rendere consapevoli le nostre società dei limiti degli attuali modelli di governo delle migrazioni; una Chiesa capace di rimettere al centro la dimensione etica del governo delle migrazioni e di rappresentare quest’ultimo come un’occasione di autoriflessività per decidere quali sono i valori e i principi che non tollerano trasgressioni; ma anche come un ambito privilegiato per decidere le strategie di competitività e sviluppo e, in particolare, il ruolo affidato alle risorse umane e le garanzie di un lavoro “decente” – per come definito dalla DSC –, e per esercitare la capacità di riconoscere e valorizzare l’unicità di ogni lavoratore, che si evidenzia in maniera paradigmatica proprio nei soggetti migranti;

• capace di leggere e giudicare i processi di mobilità umana oltre la strumentale contrapposizione tra “buonisti” e “xenofobi”, promuovendo il diritto a migrare, ma, nel contempo, quello a non emigrare. Col coraggio di condannare la scelta di migrare quando implica costi umani e lacerazioni troppo profondi e finisce col deresponsabilizzare le autorità dei paesi d’origine e le stesse famiglie dei migranti, voraci consumatrici di rimesse. È una Chiesa propensa a educare le stesse comunità migranti (nelle società d’origine e di destinazione) circa l’irriducibilità della persona a strumento per realizzare un fine, per quanto degno questo fine possa essere. Col coraggio di promuovere il rispetto della legalità e, in particolare, di combattere il ricorso improprio alle richieste di rifugio e di protezione sussidiaria, che ha posto sotto una pressione insostenibile i sistemi di tutela;

 la Chiesa chiamata ad accompagnare la società europea e la comunità internazionale a promuovere una logica di gestione delle migrazioni, specie quelle di carattere umanitario, che non sia solo quella della distribuzione dei “pesi” dei profughi, bensì quella della condivisione della responsabilità. Sostenendo, grazie al suo radicamento in tutte le regioni del pianeta, modalità virtuose di collaborazione che sappiano correggere i limiti di un sistema stato-centrico nella gestione di un fenomeno che per sua natura trascende i confini delle nazioni: una Chiesa che prema le autorità ad “uscire” dai propri recinti nazionalistici, che oggi vediamo infranti dalla forza della disperazione di masse di profughi, ma che comunque sono sempre più platealmente incoerenti con la vita reale delle persone, delle famiglie, degli stessi attori della società civile;

la Chiesa capace di concorrere al ripensamento dei modelli di governo di una società multietnica, aprendosi ai nuovi apporti che possono venire proprio dal mondo dell’immigrazione, ma anche vigilando sui rischi di relativismo, e dunque accompagnando le nostre società nella ricerca di soluzioni che, pure nel rispetto dell’alterità, non siano mai in contrasto con la natura più profonda dell’essere umano e con la sua vocazione antropologica a costruire relazioni di solidarietà;

la Chiesa, infine, capace di vedere, nella presenza di migranti e rifugiati, l’occasione per ripensarsi, verificare la propria cattolicità e ricercarne il volto autentico (ovvero il suo carattere universale); sperimentare il pluralismo etnico e culturale insieme alle nuove possibilità di evangelizzazione, non limitandosi ad accogliere, ma condividendo coi nuovi arrivati la propria missione.


ZanfriniLaura  Zanfrini
Professore ordinario di Organizzazioni, Ambiente e Innovazione sociale, Università Cattolica del Sacro Cuore

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