rassegna stampa

Viaggio intorno all’uomo sui passi del Samaritano 

di Umberto Folena

Il cardinale Betori alla festa di Avvenire a Bibione «Da Firenze2015 l’invito a testimoniare Cristo»

Non aspettiamoci teorie sull’umanesimo. «Coglieremo il nuovo umanesimo dentro la realtà facendone emergere l’urgenza». Martedì sera il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, dialoga con Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, di cui a Bibione si sta celebrando la festa. E ne viene fuori il metodo dell’imminente Convegno ecclesiale nazionale che si celebrerà a novembre nel capoluogo toscano: «Non dalle idee alla realtà ma dalla realtà alle idee. Non elencare teorie ma portare testimonianze, con un unico grande punto di riferimento, Gesù Cristo».

L’occasione è ghiotta perché Betori ospita gli “stati generali” della Chiesa italiana nella sua diocesi, anche se lui, coerentemente, avvisa di essere estraneo all’organizzazione. «Come ospitante, mi limito a preparare i letti e i pasti», dice sorridendo nell’incontro dal titolo “Per una vera bella umanità”. Però i quattro Convegni ecclesiali nazionali precedenti – Roma 1976, Loreto 1985, Palermo 1995 e Verona 2006 – li ha vissuti tutti, alcuni da molto vicino. Così, sollecitato da Tarquinio («I Convegni ecclesiali si interrogano sempre su che cosa la Chiesa italiana offre al Paese, sui valori che costruiscono la convivenza»), conferma che l’attesa è quella di sempre, di un appuntamento capace di determinare svolte per la presenza della Chiesa nella società. E ribadisce la diversa prospettiva già tentata, ma solo parzialmente riuscita, a Verona: lavorare non più per «ambiti» o settori (catechesi, giovani, liturgia…), ma per «vie», ossia per dimensioni: affettiva, educativa, politica… Il nuovo umanesimo? Girando lo sguardo all’indietro, suggerisce Betori, troviamo chi aveva impostato alla perfezione il problema esattamente mezzo secolo fa. Il 7 dicembre 1965, nel discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, Paolo VI spiega come nei tre anni di lavoro i padri abbiano tenuto sempre vivo, sullosfondo, il tema dell’umanesimo. «La Chiesa del Concilio si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa soltanto centro di ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione di ogni realtà». Tutti gli uomini con uno sguardo larghissimo, lo sguardo della carità. «L’uomo tragico dei suoi propri drammi, l’uomo superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista e feroce; poi l’uomo infelice di sé, che ride e che piange (…). L’umanesimo laico profano alla fine è apparso nella terribile statura ed ha, in un certo senso, sfidato il Concilio. La religione del Dio che si è fatto Uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere; ma non è avvenuto. La pagina evangelica del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. La scoperta dei bisogni umani (e tanto maggiori sono, quanto più grande si fa il figlio della terra) ha assorbito l’attenzione del nostro Sinodo. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo».

Una citazione lunga ma necessaria, perché è stata il cuore dell’intervento di Betori. Poi c’è stata tanta Firenze, com’è giusto, con i suoi protagonisti, da quelli più noti come don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira, a quelli meno conosciuti dal grande pubblico come il prete fiorentino, poi arcivescovo di Lucca e segretario generale della Cei, Enrico Bartoletti, l’ideatore dei Convegni ecclesiali, morto a nemmeno 60 anni prima di vederne la realizzazione. E il poeta e letterato Mario Luzi, di cui Betori ha letto alcuni brani del bellissimo discorso con cui accolse a Firenze papa Wojtyla. Ma perché Firenze? Tarquinio incalza, Betori risponde. Tanti motivi ma uno, forse, su tutti: Firenze, città della bellezza, si fece bella per tutti, per il popolo e a cominciare dai poveri. La base del nuovo umanesimo non può essere, ieri come oggi, che una sola: la carità.

da Avvenire, 16 luglio 2015

Lascia un commento

You must be logged in to post a comment.