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La teologia? Indispensabile all’unità dei saperi 

di Marco Salvioli

In un’epoca segnata dalla crescente «scheggiatura» delle discipline secolari, isolarla, come accade in molte università, non rende un buon servizio alla comprensione dell’umano

Per rispondere alle sollecitazioni provenienti dall’Iniziativa culturale di Ateneo, prestando particolare attenzione alla sfida lanciata dal Convegno di Firenze, un gruppo di studiosi diversamente afferenti all’Università Cattolica del Sacro Cuore si è confrontato sul contributo che la teologia può offrire alla costituzione dell’unità dei saperi. Il risultato è reperibile sul sito nella rubrica Ragioni dell’umano.

In un’epoca segnata dalla crescente scheggiatura delle discipline secolari, con significative ricadute sulla comprensione dell’umano, il tema trattato assume una rilevanza tutt’altro che solo accademica. Quest’iniziativa multidisciplinare può invece esemplificare parte del contributo universitario alla crisi antropologica che sta affliggendo l’Occidente. Una condizione di stallo che fa tutt’uno con la crisi di fede che si manifesta nella condizione ‘insulare’ della vita cristiana rispetto ai continenti della vita comunemente abitati.

Per motivi storico-politici la riflessione teologica italiana ha sofferto e soffre tuttora di tale condizione di isolamento, il cui sintomo più evidente sta nella separazione delle facoltà teologiche dal resto delle istituzioni dove viene elaborato il sapere. Tra le rare eccezioni, l’Università Cattolica consente di praticare l’insegnamento e la ricerca di tenore teologico a fianco delle altre discipline.

Nello spirito della Costituzione apostolica Ex corde Ecclesiae di san Giovanni Paolo II, questa prossimità porta con sé la promessa di una reciproca fecondazione tra le prospettive offerte dalla teologia e dalla filosofia, chiamate a descrivere le condizioni materiali e formali dell’intero ontologico, e quelle proposte dai differenti saperi regionali. In particolare, la riflessione sottolinea come il sapere teologico, animato dall’accoglienza della Rivelazione, possa contribuire a sostenere il senso della ricerca dell’unità dei saperi a partire dalla conoscenza dell’unico Logos incarnato per mezzo del quale tutte le cose sono state create (Gv 1,3).

Per quanto consapevoli dell’attuale tendenza al post-umano, alimentata dalla deriva tecno-capitalistica che vede nell’uomo stesso l’ultima fonte d’investimento, la domanda che si pone riguarda la qualità dell’umanesimo. Non ogni umanesimo celebra effettivamente la dignità dell’uomo e, per quanto il cristianesimo sia costitutivamente umanistico, l’umanesimo che prescinde da Dio non può che dissolversi drammaticamente, come ha insegnato Henri de Lubac e oggi sostiene John Milbank. Poiché l’uomo non può pensare se stesso in modo assoluto, in forza del mistero dell’Incarnazione, la teologia può aiutare a sostenere un umanesimo effettivamente integrale, che valorizza ogni aspetto dell’umano proprio per riferimento a Dio, origine e fine di ogni realtà.

Se Cristo mostrando il volto del Padre, rivela l’uomo all’uomo (Gaudium et spes, 22), allora il pensiero potrà essere sostenuto nell’oltrepassamento dei riduzionismi che considerano l’umano una semplice variazione dell’animale o della macchina.

È nel contesto teologico che san Tommaso d’Aquino, contemperando diverse prospettive filosofiche, ha potuto sostenere le ragioni della costituzione dell’uomo, specchio condivisibile dell’unità dei saperi. Un’acquisizione che ha anticipato i migliori esiti del Rinascimento, di cui abbiamo solamente conosciuto la fase aurorale. La realizzazione di un autentico umanesimo è dunque ancora da venire. Sottrarsi a quest’appuntamento sarebbe culturalmente letale.

Fr. Marco Salvioli O.P.
Responsabile della Segreteria di Coordinamento del Collegio dei Docenti di Teologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

da Avvenire, 2 agosto 2015

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