parole dell'umano

Bellezza

di Stefano Biancu

Da sempre la bellezza ha interrogato la coscienza cristiana. Genesi 1 è – tra le altre cose – il racconto della creazione della bellezza: di ogni opera si dice infatti che Dio vide che “era tov”, bella e buona. Dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, si dice addirittura che era “molto tov”. Il mondo è bello e buono perché è opera di Dio, luogo e sacramento della sua presenza. Il peccato è il non riconoscerne la qualità sacramentale e simbolica: separarlo da Dio per possederlo, imponendogli una finalità alternativa, col risultato di scambiare tragicamente i mezzi coi fini. La bellezza appartiene infatti all’ordine dei fini indisponibili, non a quello dei mezzi disponibili.

I padri della Chiesa dedicano grande attenzione al tema della bellezza, nella quale riconoscono il carattere costitutivo della seconda persona della Trinità. Emblematica in questo senso è la preghiera che Agostino di Ippona (354-430) rivolge a Cristo, unica bellezza che non inganna: “Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace” (Confessioni, libro X, 27.38).

In epoca medievale, Tommaso d’Aquino (1225-1274) include il bello nell’elenco dei trascendentali, ovvero delle proprietà di tutto ciò che esiste. Tutto ciò che esiste è dunque qualcosa, vero, uno, buono… Ma, in forza della convertibilità di bene e bellezza, è anche bello: “Bonum et pulcrum sunt idem”, egli scrive (Comm. In De div. nom., C. IV, 1. V, n. 355). Per Tommaso l’ordine della bellezza e l’ordine dell’etica dunque coincidono e si distinguono soltanto razionalmente (cfr. S.Th., I, q. 5, a. 4, ad 1; I-II, q. 27, a. 1, ad 3).

Tale coincidenza tra bellezza, verità e bontà sfuma in età moderna, allorché ricerca del bello e ricerca del vero prendono vie alternative: è il divorzio tra il teorico e l’estetico.

Spetterà al teologo H.U. von Balthasar (1905-1988) di cercare di sanare, nel quadro del pensiero cristiano, la frattura moderna. Nella sua prospettiva il bello, il pulchrum, diviene “la maniera in cui il bonum di Dio si dona e può essere affermato da lui e compreso dall’uomo come verum”. La bellezza – la gloria – è dunque precisamente la modalità in cui tale dono di Dio si presenta all’uomo: “La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto.”

Non dobbiamo tuttavia dimenticare come, rispetto al divorzio occidentale tra verità, bontà e bellezza, il cristianesimo orientale non abbia mai dimenticato il primato di una bellezza che, sola, può salvare il mondo (Dostoevskij). Si legge significativamente ne I Demoni (cap. III): “Sappiate che l’umanità può fare a meno degli Inglesi, che può fare a meno della Germania, che niente è più facile per lei che fare a meno dei Russi, che per vivere non ha bisogno né di scienza né di pane, ma che soltanto la bellezza le è indispensabile, perché senza bellezza non ci sarà più niente da fare in questo mondo! Qui è tutto il segreto, tutta la storia è qui”.

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